Piani di Emergenza comunali e di Protezione Civile: valutazioni sulla possibile individuazione di Soft Target dall’analisi di documenti istituzionali pubblici

La normativa in materia di Piani di Emergenza Comunali e di Protezione Civile (d’ora in poi, PEC) è estremamente diversificata da regione a regione, sia relativamente ai contenuti specifici che compongono il PEC sia alle modalità di diffusione delle informazioni in materia di prevenzione e gestione delle emergenze.

Tra gli allegati al PEC c’è il calcolo delle Condizioni Limite di Emergenza (CLE) che, oltre ad avere un’utilità limitata, essendo orientato al solo rischio sismico, contiene dati puntuali sullo stato delle infrastrutture e degli edifici strategici.

Nei PEC sono da prevedersi come allegati anche i piani di Emergenza “Manifestazioni ed Eventi “(d’ora in poi PEM) regolamentati da normative particolari.

Non esistono indicazioni di sorta sui dati o sulle informazioni da divulgare sotto il profilo del loro potenziale utilizzo per obiettivi diversi dalla Safety.

Nel presente articolo verrà analizzato quanto prevede la Regione Lazio, che impone ai Comuni la pubblicazione integrale dei PEC e dei loro contenuti (dal documento complessivo, compresi gli allegati, alle carte tecniche) nella home page del sito istituzionale del comune, vincolando l’erogazione di contributi in materia di Protezione Civile alla pubblicazione dei medesimi.

Tali informazioni sono comunque reperibili nel resto d’Italia come atti del Consiglio comunale, in virtù della normativa sulla trasparenza degli atti amministrativi, sia sul sito istituzionale del Comune nella sezione “amministrazione trasparente”, sia chiedendo un accesso agli atti ai sensi della normativa vigente.

Per il reperimento in rete dei PEM, è l’appena citata normativa sulla trasparenza degli atti amministrativi che impone la pubblicazione in quanto “oggetto di” o “allegato a” Determine Dirigenziali autorizzative per un evento o manifestazione laddove non siano direttamente affissi dai Comuni stessi.

I Comuni del Lazio (come quelli di tutte le altre regioni d’Italia), quindi, producono informazioni in chiaro che, a vario titolo, possono essere ottenute da chiunque. In particolare da chi ponga in essere azioni di ricerca di potenziali obiettivi mediante la consultazione di fonti di pubblico accesso che, tra l’altro, si distinguono per essere autorevoli (strutture tecniche comunali ed esperti della materia), certificate e certe.

Ci si prefigge, quindi, di valutare se la mancata classificazione delle informazioni contenute nei PEC e nei PEM e nei loro allegati, possa essere un punto di partenza per chi voglia individuare e connotare dei Soft Target[1].

Soffermandosi ad osservare la tipologia dei dati pubblicati per un PEC, è possibile definirli nella stragrande maggioranza come un vero e proprio elenco certificato di soft target e di elementi propedeutici nella definizione di individuazione di procedure e attività (a scopo terroristico) in cui siano massimizzate le probabilità di successo.

Conoscere quanti alunni siano in una scuola, quanti pazienti in una casa di cura o in un ospedale, è solo il primo elemento di uno scenario che può diventare via via più circostanziato, se si aggiungono informazioni sulla collocazione delle aree di attesa della popolazione, delle caserme delle FFOO, delle principali vie d’accesso, di vulnerabilità nello stesso territorio (ad esempio, siti a rischio di incidente industriale) e, soprattutto, delle procedure operative adottate in caso di evento emergenziale.

Una persona o gruppo dotato di minime capacità organizzative e un po’ di creatività, conoscendo i dati appena elencati, è certamente in condizione di portare a compimento operazioni che, soprattutto in un primo tempo, possono essere recepite erroneamente dai first responder come un evento di “Safety”, con tutto quanto ne consegue sul coinvolgimento della componente di Security, atta a salvaguardare l’ordine pubblico.

L’avverarsi “doloso” di una minaccia presente nel PEC (ad esempio, crollo di un ponte o incendio di un bosco) può fungere, inoltre, da diversivo atto a distogliere l’attenzione da obiettivi sempre civili, di valore simbolico (luoghi di culto, per esempio) con grande numero di potenziali ostaggi (scuole), che possono essere ancora meno protetti del solito.

La definizione e l’elencazione in un documento, facilmente consultabile come il PEC, della capienza delle aree d’attesa e la loro collocazione rispetto ad altri target rendono estremamente vulnerabili tutti coloro che, in osservanza delle procedure, evacuano uno o più stabili di una determinata zona e raggiungono l’area di raccolta.

Un PEM, invece, si contraddistingue per essere lo strumento atto a mitigare i rischi propri di eventi e manifestazioni sia sotto il profilo della Safety che di quello della Security. Quindi, benchè i piani di Security siano riservati ai Comitati (o Tavoli) istituzionali cui partecipano rappresentanti della Prefettura, della Questura e delle Amministrazioni, non va dimenticata la visione propria della circolare 555/2016 del Capo della Polizia per cui Safety e Security sono fra loro strettamente legate e complementari nel garantire un corretto e sereno svolgimento di eventi.

Pertanto, chiunque abbia a disposizione la componente Safety di un PEM è in grado di ricavare con discreta attendibilità una buona parte delle misure di Security e pianificare atti tendenti a turbare il sereno svolgimento dell’evento o della manifestazione.

Questa capacità è aumentata della descrizione particolareggiata da parte dell’organizzatore dell’evento o dei Referenti comunali degli scenari specifici di rischio e delle relative contromisure, sia di mitigazione (ex ante) sia di gestione dell’emergenza.

Nel PEM – oltre a dati atti a definire il grado di rischio di un evento o di una manifestazione – è possibile reperire:

  • capienza complessiva dei settori destinati alla manifestazione, collocazione di ogni settore con specificazione del settore destinato alle persone diversamente abili;
  • siti dove sono collocati i mezzi destinati a gestire eventuali emergenze (dalle ambulanze ai mezzi VVF);
  • i percorsi da tenere disponibili e liberi da e verso gli ospedali in caso di evento emergenziale;
  • la collocazione degli stand con evidenza di specificità quali bombole del gas;
  • la collocazione delle barriere e dei punti d’accesso e di deflusso (tra loro distinti);
  • la definizione di misure atte a controllare la quantità di persone presenti nell’area;
  • la collocazione degli apparati di videosorveglianza (laddove disponibili);
  • la collocazione dei bagni;
  • la collocazione degli estintori;
  • una quantificazione dei volontari coinvolti;
  • le procedure operative e le escalation da adottare in caso di avverarsi di una determinata minaccia, ivi compresa la componente informativa a beneficio dei visitatori.

Questa enorme messe di informazioni pubblicate risponde a due distinti processi:

  • la necessità di coinvolgere la popolazione nell’innalzamento della resilienza territoriale (messa a dura prova dal cambiamento climatico e dal degrado dell’ambiente) ed informarla sulle minacce presenti nel territorio e delle azioni mitigatrici e preventive da intraprendere;
  • la ricerca della massima trasparenza amministrativa che ha ispirato la legislazione in materia di accesso agli atti, pubblicità degli atti e accesso civico generalizzato (legge 241 del 1990, legge 190 del 2012, dlgs n. 33 del 2013, legge 124 del 2015).

L’azione combinata di questi due processi e delle tante catastrofi naturali succedutesi nel tempo (terremoti ed esondazioni, per citare due tipologie), amplificata enormemente dalla diffusione delle informazioni tramite la rete ha reso accessibili dati concernenti la Safety che, però, possono essere un validissimo elemento per chiunque voglia servirsene per scopi diversi e, di certo, non servono alla cittadinanza (almeno non in forma troppo approfondita e tecnica) nel percorso di partecipazione alla prevenzione.

È, probabilmente, necessario un diverso approccio in materia di condivisione dei dati laddove si parla di Safety o Protezione Civile in genere.

Un approccio che medi fra l’obbligo di trasparenza amministrativa, partecipazione alla prevenzione delle emergenze e la necessità di evitare la connotazione, seppure involontaria, di soft target “certificati” e descritti dalle istituzioni senza che questa “pubblicizzazione” determini azioni di maggior tutela dei soft target stessi.

Come esposto precedentemente, trattandosi di due documenti che trattano di argomenti tra loro sostanzialmente differenti, anche il percorso di “censura preventiva” delle informazioni dovrebbe essere diverso per modalità e tempistica.

Il PEC, “pubblicato” e adeguato ogni anno, auspicabilmente conterrà solo informazioni sommarie sulle minacce presenti nel territorio comunale e su cosa deve fare (o non fare) e dove deve andare la cittadinanza in caso di evento emergenziale, ma non dovrebbe rendere pubblici dati puntuali su scuole, ospedali, dotazioni (mezzi ed attrezzature), gruppi (Volontariato ed Associazionismo), edifici strategici, reti, infrastrutture critiche, procedure operative, Funzioni di supporto. Tutte informazioni che riguardano solo ed esclusivamente gli addetti ai lavori.

La compresenza di questa enorme mole di dati in un unico documento (il PEC) organizzato, certificato, completo e pubblicato in Rete in ogni sua parte è, per sua natura, un elemento di forte vulnerabilità.

Relativamente al PEM le valutazioni sono analoghe sotto il profilo della censura laddove si parla di “struttura organizzativa”, “scenari di rischio” (quindi di procedure operative), dotazioni specifiche (ad esempio mezzi, collocazione videocamere o altro), ma hanno anche una dimensione spiccatamente temporale.

Pubblicizzare settimane prima di un evento quali siano e dove siano collocati i varchi di accesso e deflusso a una manifestazione potrebbe mettere a rischio l’incolumità di chi fa parte della paziente coda di visitatori che, trovandosi al di fuori dell’area della manifestazione, è in una condizione di forte debolezza.

E questo è solo uno dei possibili esempi di “fragilità” intrinseca che potrebbe essere mitigato sia da un’azione di censura del PEM ma, soprattutto, dalla riduzione dei tempi di pubblicizzazione dello stesso, rendendo più difficoltosa la preparazione di eventuali atti terroristici.

Note

[1] Un “soft target” è “una persona, una cosa o un sito/luogo che è relativamente poco protetto o vulnerabile a fronte di un attacco militare o terroristico. Rientrano nella categoria di soft target, ad esempio, tutti quei luoghi (o siti) in cui si radunano persone o gruppi in gran numero, quali musei, teatri, cinema, monumenti, impianti sportivi, centri commerciali stazioni, aeroporti, ma anche bar, ristoranti, scuole, alberghi e Associazioni Culturali” (fonte: Wikipedia).

 

Articolo a cura di Francesco Maria Ermani

Profilo Autore

Mi occupo di sviluppo socio-economico dal 1990, specializzato nell’analisi del rischio e nella costruzione della resilienza.
Security Manager certificato UNI 10459.
Esperto di Metodi e Strumenti per la Sicurezza Urbana Integrata

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