Le Mappe Mentali nella Gestione delle Emergenze

Considerando la parte “non tecnica” della sicurezza, ovvero il fattore puramente umano, non possiamo non focalizzarci su una tematica comune a tutti e, purtroppo, inevitabile. Quanti durante la notte, per andare al bagno o a bere un bicchiere d’acqua, accendono la luce? Non tutti.

Come mai? Perché conosciamo a memoria il percorso completo, perché sappiamo dove sono i mobili, gli arredi e tutto il resto. Prendiamo come esempio altri normalissimi esempi della vita di tutti i giorni: dopo una lunga giornata di lavoro parcheggiamo, chiudiamo la macchina con il telecomando delle chiavi, arriviamo fino a casa… e ci chiediamo se abbiamo chiuso la macchina o no!! Quindi per sicurezza torniamo al parcheggio per controllare… e in effetti è chiusa!! Come mai non ce lo ricordiamo? Perché ripetendo tutti i giorni lo stesso gesto nello stesso modo, la nostra mente entra in una sorta di automatismo, che ci evita di pensare ai piccoli gesti di tutti i giorni che sono tipici della nostra routine quotidiana. Sembra strano, ma di fatto questa è una forma di “difesa” del cervello, che cerca in tutti i modi di non stancarsi; teniamo presente che il nostro cervello è una vera propria macchina da guerra.

Teniamo sempre presente che il cervello non ha soltanto la nostra parte razionale, ma ha la memoria, la parte istintiva, tutti quegli “ingranaggi” che si muovono per conto loro senza aver bisogno di un nostro impulso volontario, come il battito cardiaco, il respiro notturno, la digestione, i 5 sensi, etc… se pensiamo a quante cose deve occuparsi il cervello, ci rendiamo conto che durante la notte, quando noi non siamo coscienti, è solo la parte razionale che va a riposo, tutto il resto funziona sempre!! Quindi, de facto, il nostro cervello non si ferma mai. E una macchina che lavora non-stop, o trova il modo di andare un po’ in stand by o va in tilt.

Pertanto, per una forma di “autodifesa”, il cervello tende a costruirsi delle mappe, nelle quali orientarsi a occhi chiusi, senza doverci pensare.

Più frequentiamo uno stesso posto, più questo fenomeno diventa sempre più immediato. Purtroppo questo processo sta alla base dell’incidente domestico. Come ci sentiamo a casa? Al sicuro, nel nostro fortino, rilassati e spensierati, ed è proprio quando abbassiamo le difese che in realtà dovrebbe scattare una molla che ci avvisa che siamo vulnerabili, ma purtroppo questa molla non scatta perché in quel momento il cervello sta cercando il modo di riposarsi. Tutti almeno una volta nella vita, abbiamo preso la classica “mignolata” contro lo spigolo del comodino, ma quel comodino con quello spigolo (lo squaletto) c’è sempre stato… perché dopo un po’ non lo vediamo più?

Rifacciamoci sempre la domanda “quando facciamo la sicurezza?” Quando abbiamo paura. E quand’è che abbiamo paura? Di fronte alla presenza di un pericolo (lo squaletto). Ma… se un pericolo è diventato parte dell’arredamento, può spaventarci? Assolutamente no. Ecco chiudersi il cerchio: queste mappe sono responsabili del fatto che i pericoli, alla lunga, diventano parte dell’arredamento, e pertanto fanno abbassare il nostro livello di guardia. E casa nostra, e piena di squaletti. Cosa possiamo fare per evitare queste mappe? Nulla! Perché se il cervello non avesse a disposizione questi automatismi, si fonderebbe. Queste mappe, in gergo parlato, si chiamano abitudini. Riflettiamo per un attimo quanto ci appoggiamo all’abitudine quando al mattino ci alziamo da letto, con ancora un po’ di sonno e nessuna voglia di ragionare o riflettere; non stiamo certo a pensare a quello che facciamo, come lo dobbiamo fare per farlo bene, e soprattutto rispettare anche la nostra sicurezza! Noi ci alziamo, facciamo il caffè, la doccia, prepariamo i figli, chiudiamo la porta… e ci ritroviamo davanti al volante in macchina, e ci chiediamo “cos’è che ho fatto nell’ultima mezz’ora?”. Il problema di queste mappe, è che diventano poi le responsabili della troppa confidenza; e spesso l’infortunio si traduce in troppa confidenza mista a stanchezza e fretta; infatti il picco degli infortuni viene registrato nell’ultima ora di una giornata lavorativa media diurna.

Al secondo posto troviamo la prima parte della mattinata, perché ancora siamo vittime del sonno e ci portiamo da casa i problemi e le preoccupazioni personali (un litigio, il figlio con la febbre, la caldaia che si è rotta, etc…).

Al terzo posto troviamo, ovviamente, la pausa pranzo, perché è impensabile che, se la maggior parte del sangue è stata indirizzata da parte del cervello allo stomaco, la freschezza mentale di rimanere concentrati sul lavoro che stiamo facendo sia identica a quella che avevamo a metà mattinata. Purtroppo, per ovviare al problema di queste mappe della troppa confidenza, non possiamo fare granché, se non l’esserne consapevoli e provare a tenere sempre una piccola antenna di buon senso alzata durante i 3 orari “killer”. I lavoratori veterani sono senza dubbio la classe più esposta a questi automatismi, in quanto frequentano quel luogo da più tempo di altri (i neo assunti per esempio); è normale che dopo 30 anni, queste mappe siano ben incise dentro la nostra testa, e questo fa sì che i pericoli diventino parte dell’arredamento, e si mimetizzano con il luogo di lavoro come piccoli camaleonti.

…ma se invece noi queste mappe volessimo sfruttarle? Se tanto il cervello le costruisce indipendentemente dalla nostra volontà, se tanto fa parte della sua natura, non possiamo provare a farle fruttare in qualche modo? Ovvero, possiamo in qualche modo far tornare la presenza di queste mappe a nostro favore, ovvero provare a utilizzarle per la salvaguardia della nostra sicurezza? La risposta è sì; quando parliamo di emergenze. Cos’è un’emergenza? Una situazione anomala e non programmata, che quando arriva non ci avvisa, che richiede sangue freddo, preparazione, e reazione mirata per la salvaguardia dei beni e delle vite coinvolte. È possibile provare a imporre al nostro cervello una sorta di mappe obbligate, ovvero percorsi imposti, che fanno aprire un cassettino razionale che un domani potrebbe salvarci la vita? Qual è il consiglio che un genitore dà al figlio per prepararsi a una verifica di matematica a scuola? Quando è a casa, fare tanti esercizi, così che se la maestra deciderà di fare una verifica a sorpresa, sarà preparato, perché se il maccanismo sarà sempre lo stesso, svolgerà l’esercizio quasi in automatico.

Come si chiamano questi esercizi di matematica applicati alle emergenze, per cui se queste si manifestano, sappiamo cosa fare in automatico, senza pensarci troppo? Simulazioni di emergenza. Queste servono proprio a prendere dimestichezza con il nostro ambiente di lavoro, a imporre al nostro cervello una sorta di mappa obbligata fatta di vie di esodo, posizione degli estintori, scale di emergenza, etc. Quante volte, una volta a lavoro, passiamo davanti agli estintori che sono sempre nello stesso punto, ma se dovessimo ripensarci non abbiamo la minima idea di dove siano? Eppure gli “spazi fumo”, è indifferente il luogo, ma senza indugio ci ricordiamo subito dove sono ubicati! Perché succede ciò? Perché dal momento che di incendi non ne sono mai successi, la cosa non ci interessa, mentre nel secondo caso, trovare subito il luogo in cui fumare ci interessa eccome!! Come facciamo a rendere veramente efficaci le prove di emergenza? Dobbiamo avere un interesse di fondo, una volontà di costruire queste mappe obbligate, perché un domani, forse, potrebbero tornarci utili per salvarci la vita. Se invece le prendiamo “sottogamba”, allora non servono a nulla. Riportiamo di seguito qualche scenario interessante (purtroppo realmente accaduto):

SCENARIO 1:

Scuola Elementare, ore 10:30. Il coordinatore esterno dell’esercitazione di emergenza entra senza preavviso in classe, si rivolge al maestro dicendo “Professore, si è creata un’emergenza per la quale è necessaria l’evacuazione dell’istituto. La prego di coordinare i bambini in tal senso attenendosi al contenuto del Vostro Piano di Emergenza.” La risposta del maestro “…scusi, ma non vede che i bambini stanno facendo merenda?!”

SCENARIO 2:

Azienda di 400 persone circa, parte l’allarme di evacuazione. Ecco le reazioni dei dipendenti:

I maschi: “C’è la prova di evacuazione? Evvai che mi vado a fumare una sigaretta!!”

Le femmine: “ma è una finta vero? Che altrimenti mi viene l’ansia!”, “Aspetta piove fuori? Farà freddo? Quasi quasi mi porto la giacca così almeno vado sul sicuro, che ne dici?”

Entrambi: “Ho dimenticato lo smartphone!! Aspettate che torno a prenderlo!!”, “Mi aspetti? Così finiamo di parlare”

…nessuno in caso di emergenza si aspetta l’un l’altro!! In caso di emergenza vige il panico perché entra in gioco il nostro istinto di conservazione (ovvero di sopravvivenza), che ci fa scappare a gambe levate, e se non so gestire questa reazione mediante una mappa che già esiste nel nostro cervello, e che si attiva in automatico senza bisogno di un nostro sforzo o impulso volontario, sono guai!!

SCENARIO 3:

Azienda di 50 persone circa, tutto il personale si sta preparando per la simulazione di emergenza programmata per tale data. Un dipendente mostra al coordinatore esterno per le emergenze una sorta di giustificazione del proprio Datore di Lavoro, il quale lo esonera dal prendere parte alla prova “perché ha da fare”.

Prendiamo il 3° scenario come riflessione: per la corretta gestione delle emergenze, il Datore di Lavoro predispone un Piano di Emergenze che contiene le indicazioni sul come comportarsi nel caso dovessero presentarsi i vari scenari (incendio, terremoto, alluvione, etc…). Possibilmente, tale documento deve essere in primo luogo comprensibile da tutti, soprattutto perché verrà “testato” mediante le simulazioni di emergenza. Qual è la variabile, ovviamente oltre il corretto comportamento e coordinamento dei lavoratori coinvolti, che mi indica che il mio piano di emergenza funziona? Il tempo!

Se quello che abbiamo pianificato funziona bene, le tempistiche saranno proporzionate al tipo di azienda in questione, ma comunque di una durata “breve” (1, 5, 10 minuti?).

Quindi, quanto tempo “perde” il lavoratore per partecipare alla prova di emergenza? Ora riflettiamo un attimo su un altro tipo di tempistica: quanto dura una pausa caffè?

Senz’altro più di 10 minuti!!! Quindi, il lavoratore in questione, dov’è che realmente perde tempo?? Durante una pausa caffè che forse dura un pochino di più del dovuto, o durante una simulazione che, se fatta bene e con regolarità, serve a costruire una mappa che un domani potrebbe salvarci la vita? I veri costi per la sicurezza, contrariamente a quanto molti possono pensare, non si misurano in spese vive (corsi di formazione, ricariche degli estintori, etc.) si misurano soprattutto in termini di tempo!!!

Tempo investito sull’addestramento dei lavoratori, sulla loro crescita e sulla loro testa, interrompendo momentaneamente le lavorazioni, e costruendo qualcosa che va oltre l’obbligo normativo, e che punta alla salvaguardia della loro sicurezza e alla loro preparazione (“se succede, io sono pronto?”).

A cura di: Anna Ravina

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