Rischio di inquinamento da gas radon nelle abitazioni

Il Radon è un gas che deriva dal decadimento nucleare del Radio, derivato a sua volta da quello dell’Uranio. E’ radioattivo e, come gli elementi aeriformi, può spostarsi agevolmente fra gli interstizi del terreno, risalire in superficie ed entrare all’interno delle abitazioni, dove può raggiungere anche concentrazioni molto alte e diventare estremamente pericoloso per la salute di chi vi abita. Entriamo in contatto con il radon, respirando il pulviscolo presente nell’aria, al quale aderisce essendo elettricamente carico, per venire poi inalato ed infiltrarsi nel tessuto polmonare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 1988, ha classificato il radon nel Gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’uomo. Il rapporto AIOM-AIRTUM del 2019 evidenzia una mortalità annua per tumore polmonare pari a 42500 unità; il 9% di questi sarebbe da riferirsi al radon che rappresenta così la seconda causa di cancro del polmone tra quelle collegate ad inquinanti indooor, essendo la prima da riferirsi al fumo cosiddetto passivo. Una review di 13 studi epidemiologici condotti in Europa, conferma come il 9% delle morti per tumore del polmone possa essere attribuito a esposizione domestica a radon. Va chiarito che non è il radon di per sé ad essere nocivo, in quanto gas inerte, ma i prodotti del suo decadimento cioè metalli quali piombo, bismuto e polonio le cui particelle posseggono un’elevata energia in grado di danneggiare le cellule, rompendo in più punti la molecola di DNA. Gli edifici maggiormente esposti a rischio di contaminazione da radon sono quelli costruiti su suoli di origine vulcanica o fortemente permeabili e che impiegano materiali da costruzione quali tufo, pozzolane, graniti. Siamo tutti potenzialmente in pericolo perché il Radon, infatti, trova molteplici vie di ingresso all’interno degli edifici. La dinamica di emissione e spostamento del Radon dal suolo all’interno delle abitazioni è complessa e presenta molteplici variabili:

  • Il grado di fratturazione delle rocce: il radon può muoversi liberamente; può inoltre essere veicolato da acque contaminate, direttamente o tramite i suoi predecessori (Uranio e Radio), che, decadendo, lo liberano nel terreno;
  • La permeabilità del terreno: quanto maggiore è il grado di permeabilità, tanto più è agevole per il Radon arrivare in superficie, grazie alle correnti d’aria o alla fuoriuscita di acqua sorgiva;
  • Le variazioni di temperatura e di pressione dell’aria, note anche come “effetto camino” tra l’interno e l’esterno degli edifici: fattori questi che provocano oscillazioni stagionali e giornaliere dei livelli di Radon, è dimostrato che le temperature basse e l’umidità notturna lo veicolano maggiormente soprattutto ai piani bassi degli edifici; sono proprio gli edifici, con i moti convettivi dovuti al riscaldamento domestico, a favorire l’ingresso del gas, ma anche le canne fumarie, gli impianti di scarico, gli aspiratori meccanici ed il vento, creano depressioni interne che contribuiscono a favorirne l’ingresso.

Il radon si infiltra nelle nostre case attraverso:

  • crepe e giunti in pavimenti e pareti, fori di passaggio dei cavi, tubazioni e fognature;
  • pozzetti ed aperture di controllo;
  • prese di luce ed altre aperture nelle pareti delle cantine, camini, ascensori, montacarichi;
  • componenti costruttivi permeabili quali solai in legno, laterizi forati, muri in pietra e simili.

Non esiste una concentrazione “sicura” al di sotto della quale non vi è rischio di contrarre malattie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Comunità europea ed alcuni Paesi hanno definito dei livelli di riferimento per le abitazioni e per gli ambienti di lavoro al di sotto dei quali si stima un rischio accettabile. Al di sopra di tali valori, viene suggerito, e in alcuni casi imposto, di adottare provvedimenti per ridurne la concentrazione.

Il Radon, se ne è già fatto cenno, viene generato in modo particolare nelle rocce di origine vulcanica come le lave, le pozzolane, i tufi, il granito ed il porfido. In Italia l’inquinamento indoor da alte concentrazioni di Radon si presenta soprattutto in alcune zone del Lazio e della Campania a causa dell’utilizzo di materiali da costruzione di origine vulcanica (per lo più tufo), ma risultano particolarmente esposte anche la Lombardia, il Friuli, il Piemonte; va anche sottolineato come l’inquinamento possa generarsi anche in fabbricati per la cui costruzione siano stati utilizzati materiali estratti in zone radioattive.

Il livello di Radon presente negli edifici dipende da molteplici fattori, tra i quali la tipologia di edificio, i materiali utilizzati per la costruzione, i ricambi di d’aria, la ventilazione, ecc. La maggiore concentrazione di emissione Radon deriva da una pavimentazione poco isolata, dai solai oppure dalle intercapedini, che sono a contatto con il terreno, come i locali degli edifici collocati nei seminterrati o al pianterreno. Le più comuni vie di accesso del radon dal suolo sono: i giunti di connessione perimetrali fra solaio a terra e pareti verticali o altri elementi strutturali, la mancata sigillatura delle canalizzazioni degli impianti elettrici o idraulici, le microfessurazioni nel basamento dovute al ritiro dei leganti o da assestamenti strutturali, le fessurazioni dovute all’errata posa di materiali da costruzione, le intercapedini e la discontinuità causate dai giunti di dilatazione.

Le persone più a rischio sono i lavoratori che svolgono attività in luoghi seminterrati e sotterranei; i bambini e gli alunni che frequentano asili e scuole, con mense e palestre situate nei locali interrati o seminterrati; il personale ospedaliero molto spesso impegnato per prolungati turni di lavoro in ambienti abitualmente posti a piani bassi o seminterrati o interrati (sale operatorie, rianimazioni, laboratori, radiologie ecc.) non correttamente climatizzati.

Nelle abitazioni i locali maggiormente esposti sono le cucine, tavernette, sale hobby, con un una maggiore incidenza di danno nei confronti delle casalinghe, di bambini, di anziani che sostano maggiormente negli ambienti chiusi

La normativa

Il 17 gennaio 2014 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la nuova Direttiva europea sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti (“Basic Safety Standards” – Direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio, pubblicata sulla G.U.U.E. L-13 del 17 gennaio 2014). Con tale Direttiva, sono stati fissati i limiti di concentrazione di attività per la commercializzazione di materiali da costruzione e sollecitati ai Paesi comunitari piani di azione per le concentrazioni di gas radon nelle abitazioni. E’ diventato così obbligatorio, per tutti gli Stati dell’Unione Europea, dotarsi di un piano nazionale “radon”. Agli Stati membri veniva affidato il compito di predisporre le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla predetta Direttiva entro il termine ultimo del 6 febbraio 2018; la Commissione deferì l’Italia (unico paese UE a non aver all’epoca adottato alcuna norma di recepimento) alla Corte di Giustizia UE per il mancato recepimento delle norme UE sulla radioprotezione. Il 27 agosto 2020 è finalmente entrato in vigore il nuovo Decreto Legislativo del 31 luglio 2020 numero 101 che, oltre a recepire la Direttiva Europea Euratom numero 2013/59, provvede a riordinare e armonizzare la normativa di settore, assicurando il mantenimento delle misure di protezione dei lavoratori e della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla medesima direttiva.

Per offrire una misura delle concentrazioni accettabili, si fa riferimento ai valori raccomandati dalla Comunità europea:

  • 200 Bq/mc per le nuove abitazioni;
  • 400 Bq/mc per quelle già esistenti.

La normativa riferita agli ambienti di lavoro (decreto legislativo n. 241, del 26 maggio 2000) fissa invece un livello di riferimento di 500 Bq/mc.

Azioni di rimedio e protezione dal Radon

Di seguito si forniscono alcuni consigli riguardo i possibili interventi per limitare la concentrazione di radon, da applicarsi singolarmente o in combinazione per assicurarsi un miglior risultato:

misurare la concentrazione di radon negli ambienti chiusi. Come facciamo a sapere se c’è radon in casa? La prima cosa da fare è appunto misurarla per l’intero anno solare poiché i valori del Radon sono variabili nell’arco della giornata e dell’anno. Chiaramente è importante rivolgersi ad un tecnico specializzato, che provvederà a collocare dei dosimetri nei locali. Le misurazioni radon infatti devono essere eseguite da un laboratorio idoneamente attrezzato e le valutazioni di dose a persona devono essere fatte da un esperto qualificato nella radioprotezione, come indicato nel decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 e ss.ii.mm. I rilevatori possono essere richiesti a diverse strutture, tra cui l’Arpa e l’Enea, che assicurano un’assistenza per eseguire i monitoraggi ed una certificazione attestante la concentrazione presente. con una piccola spesa (circa 30/40 € inclusa l’analisi di laboratorio). In alternativa si può acquistare un kit per una misurazione “fai da te”. Il dosimetro è molto piccolo, va posizionato nell’ambiente che si vuole monitorare e, al termine dell’esposizione, va affidato per l’analisi a sezioni locali dell’Arpa o dell’’Enea, ma ci si può affidare anche a laboratori privati o agli stessi rivenditori dei dosimetri.

-Aumentare il ricambio d’aria con l’esterno è un intervento immediato ed efficace per ridurre la concentrazione di radon. Il maggiore ricambio d’aria può essere ottenuto sia con ventilazione naturale, aprendo frequentemente finestre e porte, sia con ventilazione forzata, attraverso l’impiego di ventilatori elettrici. L’impiego di sistemi attivi permette di controllare i volumi di aria scambiati con l’esterno ed evitare così, nelle stagioni più fredde, un eccessivo dispendio termico.

-Sigillare le abituali vie d’ingresso del radon per contrastare la sua penetrazione nell’edificio, chiudere ermeticamente le crepe, le fessure o microfessure presenti con l’utilizzo di materiali siliconici, poliuretani, resine, ecc. Per isolare gli interstizi attorno alle condotte tecnologiche (acqua, gas, elettricità, scarichi) è sicuramente preferibile l’utilizzo di materiale di tenuta a elasticità permanente. Le porte d’accesso ai piani interrati vanno sigillate con l’impiego di guarnizioni isolanti elastiche come le eventuali botole/chiusini presenti nei solai contro terra. Un altro accorgimento in fase di ristrutturazione è la messa in opera di membrane isolanti nei solai e pareti dei piani interrati in presenza di materiali da costruzione ad elevato rilascio di radon.

-Assicurare una ventilazione naturale o depressurizzazione dell’eventuale intercapedine o vespaio esistente tra suolo ed edificio con una ventilazione naturale per deviare all’esterno il radon. Nel caso la ventilazione naturale sia insufficiente si può provvedere a forzare la circolazione d’aria mediante l’uso di ventola aspirante. Un rimedio efficace è altresì la realizzazione di un pozzetto radon. Questa tipologia di intervento è utilizzabile nel caso di edifici non dotati di vespaio. Si realizza il pozzetto nel terreno al di sotto del solaio, dal quale si estrae tramite gli aspiratori, l’aria carica di radon proveniente dal terreno. Lo stesso può essere realizzato in un punto “cruciale” adiacente all’edificio. Possono anche essere inseriti nel terreno sottostante l’edificio, all’altezza del pozzetto, delle tubazioni per facilitare la raccolta dell’aria. Se la tubazione aspirante ha una altezza equa può essere evitato l’uso di aspiratori elettrici. Il radon in questo modo viene spinto fuori.

-Assicurare la pressurizzazione dell’abitazione. L’ingresso del radon viene bloccato con un ventilatore creando in questo modo una leggera sovrappressione nell’abitazione. Questo tipo di soluzione si presta soprattutto per edifici ad alto contenimento energetico. In presenza di un eventuale piano interrato, con buona impermeabilizzazione e buona tenuta, è possibile pressurizzare solo questo livello immettendo aria con un ventilatore in modo da creare una barriera tale da contrastare l’entrata del gas nell’edificio.

Accorgimenti in caso di edifici di nuova costruzione: Va premesso che anche i materiali di costruzione possono possedere alte concentrazioni di radon (vedi tab. 1) di conseguenza sembra opportuno tenerne conto quando ci si accinga a costruire nuovi edifici o abitazioni. Va posta poi attenzione alla realizzazione dell’ “attacco a terra”, tramite un vespaio ventilato in modo da porre tra il terreno ed il fabbricato una intercapedine d’aria dalla quale il radon possa essere espulso verso l’esterno attraverso opportune canalizzazioni tramite ventilazione naturale o forzata (aspiratori). È opportuno inoltre isolare, secondo lo stesso principio, le eventuali pareti contro terra tramite uno scannafosso aerato. Nel caso non ci sia un vespaio è opportuno predisporre al di sotto dell’attacco a terra uno o più pozzetti di raccolta del radon collegati tra loro e collegati con l’esterno dell’edificio, inoltre è indispensabile inserire uno strato di ghiaia attraverso il quale possa circolare l’aria e confluire il radon nei pozzetti stessi. Un altro sistema raccomandato è la posa di rivestimenti o strati di materiali impermeabili al radon sui solai e pareti contro terra. È anche raccomandato predisporre e posizionare eventuali canalizzazioni per gli impianti idraulici, elettrici, riscaldamento o tecnologici in genere, in modo da evitare forature o danneggiamenti futuri agli strati impermeabili al radon. Infine possono essere utilizzati particolari cementi antiritiro, nei quali è quasi nulla la formazione delle fessure dalle quali può penetrare il radon. Il gas Radon può penetrare nell’edificio attraverso le microfratture nelle fondazioni e le vie lungo tubazioni e fili elettrici.

 

Articolo a cura di Gabriella Pesacane

 

 

Profilo Autore

Gabriella Pesacane, architetto, presidente ANSiD Associazione Nazionale Sicurezza Domestica, segretario nazionale A.N.T.e.S. Associazione Nazionale Tecnici della Sicurezza, Consigliere del Collegio dei Revisori dei Conti per la S.I.Ri.C. Società Italiana Rischio Clinico, Membro Associato del CIRPS Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo sostenibile – Sezione Salute e Sviluppo.

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