La percezione del rischio. Individualità e multifattorialità

Nel 2017 l’ISTAT ha rilevato, con un’indagine multiscopo condotta in Italia, 4.400.000 incidenti domestici.

La prevenzione del rischio di incidenti trova, ovviamente, nell’abitazione il suo motivo di essere perché spesso causati da comportamenti e stili di vita scorretti che, soprattutto nei  bambini, più esposti perché meno consapevoli, è possibile modificare. Un’efficace prevenzione degli infortuni non può prescindere dalla percezione individuale del rischio, cioè dalla capacità dell’individuo – e più in generale della collettività – di rendersi consapevole dei pericoli con cui il vivere quotidiano in casa ci mette a contatto. Spesso non si riesce a valutare il potenziale rischio a causa di una visione semplificata della realtà: abitudini ed esperienze pregresse (personali o di altri) e scarsa conoscenza del pericolo e della sua dannosità, portano l’individuo a sottovalutare i rischi connessi alle attività quotidiane note e usuali, come pulire e utilizzare attrezzi: l’acido muriatico, ad esempio, comunemente adoperato per pulire, è potenzialmente dannoso, se incautamente adoperato, e può provocare intossicazioni, ustioni o danni agli organi interni.

Anche la valutazione soggettiva rischi/benefici influenza le nostre scelte: se un determinato comportamento arreca un  beneficio, allora il rischio ad esso connesso sarà percepito in misura minore. Per fare un esempio: per pulire i vetri della finestra salgo sulla sedia perché è a portata di mano, mi risparmia il fastidio di prendere la scaletta, mi consente una maggiore libertà di movimento, quindi fa risparmiare tempo; il pericolo che può derivare da questa azione mi sembra inferiore rispetto al vantaggio che traggo dal velocizzare il lavoro. Il rischio è percepito positivo quando è associato a una motivazione rilevante e promette vantaggi immediati; gli svantaggi non sono evidenti, quindi “vale la pena”. Rispetto all’incidente domestico utilizziamo una scorciatoia mentale; migliaia di persone cadono o si ustionano in casa propria, nonostante ciò la nostra autostima ci fa sottovalutare il pericolo, ci sentiamo meno esposti perché ci riteniamo esperti; “ho fatto sempre così e non è mai successo niente” è la frase  tipica dell’illusione del controllo. In pratica, gli eventi rari ma eclatanti sono sovrastimati rispetto ad eventi che attirano di meno l’attenzione, sebbene siano più frequenti. Analogo atteggiamento viene assunto nei confronti di quei comportamenti pericolosi che manifestano il danno nel tempo (vedi esposizione a sostanze chimiche, il rischio biologico o le scorrette pratiche igieniche e alimentari). La nostra mente è selettiva, crediamo di vedere e sentire tutto semplicemente prestandovi attenzione e non è così; il 99% delle persone, forte della sua presunta esperienza, non rispetta le regole di sicurezza e, malgrado ciò, non subisce infortuni; questo risultato viene erroneamente attribuito alla propria capacità di gestire il pericolo.

Tutte le nostre decisioni sono motivate da un lavoro mentale attraverso il quale attribuiamo un valore a quello che osserviamo; un processo che si sviluppa attraverso cinque fasi consecutive, con cui costruiamo la nostra “mappa mentale”: con l’attenzione raccogliamo  i dati, li filtriamo e li selezioniamo anche inconsapevolmente, ma l’attenzione è simultaneamente influenzata da altri fattori individuali come credenze, interessi, aspettative del soggetto. Una volta raccolte le informazioni le organizziamo in schemi per poi attribuire loro un significato. Conserviamo una parte delle informazioni nella memoria per richiamarle al momento opportuno. Nell’ultima fase, valutiamo  l’informazione ricevuta, sia essa un evento, una persona o un oggetto; questa fase influenzerà tutte le successive decisioni ovvero i  nostri comportamenti. In genere, non percepiamo il rischio per motivi diversi: non lo conosciamo, o perché affetti da un’alterazione delle capacità percettive quali ipoacusia, daltonismo, alterazione da sostanze inebrianti o farmaci, stanchezza o ripetitività, che contribuiscono ad abbassare la nostra soglia di attenzione. La maggior parte di noi rimuove il pericolo dalla coscienza, ovvero tendiamo a minimizzare per semplificarci la vita; sarebbe, infatti, eccessivamente stressante tenere il pensiero costantemente rivolto al pericolo. Più si  è convinti che non sia possibile proteggersi dal pericolo, più tendiamo  a rimuoverlo ritenendoci, appunto, impotenti rispetto al rischio; questa credenza nasce dalla disinformazione da un lato e da un atteggiamento fatalista dall’altro: l’incidente è governato dal caso. Talvolta, poi, sopravvalutiamo le nostre capacità; è il caso dei tanti anziani che quotidianamente finiscono al pronto soccorso a causa di incidenti domestici, talvolta mortali, perché non si rendono conto delle proprie mutate capacità fisiche.

Anche gli orientamenti culturali influenzano fortemente la percezione del rischio; gli individui apprendono osservando le altre persone nel proprio ambiente di vita, dalla famiglia al luogo di lavoro, si impara per imitazione. È perciò naturale che i diversi comportamenti derivino dai valori socio-culturali di origine; in particolare, la valutazione del pericolo è proporzionale alla soglia di accettabilità del rischio e al concetto di benessere psico-fisico. Un immigrato, quale che sia la sua nazionalità, deve adattarsi a una nuova cultura e il riadattamento può avere ripercussioni proprio sulle modalità di percezione del rischio e del pericolo. Non vanno poi trascurate le differenze di genere; gli agenti fisici, chimici e biologici presenti nell’ambiente, possono causare danni diversi in persone di sesso opposto, che  possono riguardare, con intensità diversa, la sfera riproduttiva e le implicazioni per la prole in fase di gestazione o di allattamento.

Le donne mostrano maggiore consapevolezza del rischio e gestiscono meglio la prevenzione grazie all’educazione ricevuta, al ruolo sociale, a schemi di altruismo e al senso di abnegazione materna. Tuttavia, nel perseguire il benessere altrui, le donne tendono a trascurare il proprio e, come dimostrano le statistiche, si infortunano maggiormente rispetto agli uomini in ambito domestico.

La percezione del rischio, infine, varia in rapporto all’età. Contrariamente a quanto avviene in ambito lavorativo – dove sono i giovani a infortunarsi maggiormente, anche se in maniera lieve – in ambito domestico sono gli anziani ad avere una percezione del rischio alterata e, come già detto, ad andare incontro a incidenti più gravi.

Cosa fare? Motivare, spingere all’azione, utilizzando gli stimoli interni ed esterni che possono incidere sensibilmente sui comportamenti; motivare il genitore alla salvaguardia della propria incolumità e di quella dei suoi figli facendo leva sull’amore; è questo uno stimolo di tipo interiore anche se la spinta proviene dall’esterno. Il comportamento consigliato, per  apparire particolarmente gradito, deve essere associato ad altri bisogni. Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero influire in modo mirato sui comportamenti e sulle azioni, agendo sull’emotività degli individui, identificando gli ostacoli o i motivi di resistenza attraverso il dialogo con i soggetti interessati e anche mediante l’utilizzo di incidenti simulati.

 

Articolo a cura di Gabriella Pesacane

Profilo Autore

Gabriella Pesacane, architetto, presidente ANSiD Associazione Nazionale Sicurezza Domestica, segretario nazionale A.N.T.e.S. Associazione Nazionale Tecnici della Sicurezza, Consigliere del Collegio dei Revisori dei Conti per la S.I.Ri.C. Società Italiana Rischio Clinico, Membro Associato del CIRPS Centro Interuniversitario di Ricerca per lo  Sviluppo sostenibile – Sezione Salute e Sviluppo.

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