Il rischio nella “società fluida”

È passato circa un decennio da quando Bauman ha elaborato la teoria della ‘’società liquida”. Già negli anni ‘60, peraltro, W. Bennis[1] prevedeva un nuovo tipo di leadership, più consono alle sempre maggiori innovazioni elettromeccaniche nei processi organizzativi dell’industria e coniava il concetto di “adhoc-crazia”, poi ripreso da A. Toffler[2] per delineare la nascita di una impresa basata sui criteri della flessibilità e spontaneità.

Facendo un salto in avanti, la “società del rischio”[3] – così definita da Beck, studiando l’impatto della globalizzazione su singoli gruppi sociali – credo abbia trasferito il costo della non linearità previsionale su singoli cittadini, utenti, consumatori, imprese… benché, per vari motivi, lo Stato non abbia al contempo riallocato le risorse finanziarie in altri fattori produttivi sistemici (quale le infrastrutture e la capacità di innovare).

Oggi, tutto ciò impatta sul modo con cui l’essere umano interpreta i segnali sociali e li ritrasmette a sé e al contesto di rapporti, comportando specificamente la necessità sia di ridefinire il criterio di rischio (come viene percepito), sia la rischiosità dei comportamenti (come viene attuata), a iniziare dal fatto che – sempre più spesso – a porli in essere non sono “umani” ma “entità altre”.

1. Capacità di studio e analisi – modellizzazione e simulazione scenari

Ritengo che una delle prime azioni che dovrebbe proporsi un ‘uomo di struttura’ privata o pubblica, civile o militare, sia premurarsi la “giusta posizione” per esaminare i fatti.

Ma direi lo stesso Stato, oltre che l’Impresa, hanno necessità di rappresentarsi –quanto più fedelmente possibile – ciò che li circonda… e questo non è altro – penso – che l’eterna lotta per la sopravvivenza, dove non ci sono buoni o cattivi, ma solo morti e sopravvissuti!

Ora, da non molti anni a questa parte – e l’avvento del computer ne ha aumentato di gran lunga le possibilità operative – l’essere umano ha cercato di fornire un’immagine ‘logica’ alla rappresentazione del contesto attorno a sé, a quello che chiama “realtà”… passata, presente, futura; già, perché potrebbe esser importante conoscere anche il passato e il presente, per meglio conoscere (o prevedere con più certezza) il futuro!

Ma se la speculazione filosofica poteva fornire una possibile soluzione di cui empiricamente provare la veridicità, con la modellizzazione ha fatto un enorme passo verso la indispensabile attività di reperimento / analisi / rappresentazione / studio delle informazioni e quindi alla “simulazione degli scenari”, nonché delle possibili conseguenze di singole azioni.

Se ben ipotizzata e posta in essere, la coscienza della “consistenza fluida” dei contesti dove ci si muove dovrebbe portare alla creazione di una sorta di “stato mentale”; parliamo cioè della mai insufficiente Awareness.

La consapevolezza si presenta sia sotto l’aspetto di un “atteggiamento” da tenere, sia –conseguentemente- sotto quello della prevenzione. Ma soprattutto, si ripercuote su una generale coscienza dei rischi e della loro generica imponderabilità.

Ne viene ancora – ed entriamo nel core dell’oggetto del presente rapporto – che più si è consci della necessità di prepararsi, quanto più veritieramente ci si addestra proprio per famigliarizzare con i possibili comportamenti propri e altrui (Giappone insegna!)

1.1 L’analisi della simulazione

Sono insiemi diversi di Valori, in una o più formule, miscelabili al fine di ipotizzare scenari diversi e poterne valutare dinamica e conseguenze. Ad esempio, si possono creare due bilanci, uno per certe entrate e/o uscite e/o per un certo utilizzo del prodotto “output” ovvero delle componenti utilizzate per produrlo o per l’incidenza dei costi di magazzino rispetto al guadagno finale.

L’analisi della simulazione è processo di modifica dei valori nelle celle di excel (per esempio), al fine di osservare l’effetto delle varie modifiche sul risultato[4].

In tale ambito e con queste premesse, la più appropriata Awareness e Consciousness si posiziona non come separata, ma in cooperazione in / tra le varie organizzazioni (militari e civili, pubblici e privati) e può avvenire solo a valle di processi preventivi di training congiunti.

Non possiamo certamente aspettare il verificarsi dell’evento per rendere evidenti eventuali carenze legate alla componente organizzativa o alle capacità operative della task force a disposizione. In genere tali eventi necessitano infatti di risposte efficaci ed efficienti in termini di tempo, costi e attività[5].

In estrema sostanza, quello che ne viene fuori è un duplice concetto:

  • necessità di ricorrere ad una modellizzazione per comprendere il presente e prevedere il futuro, ad una simulazione per dare concretezza ad ipotesi di lavoro;
  • necessità di un approccio quanto più esteso possibile, sia in termini di organizzazione che di competenze.

Di fatto, credo, stiamo parlando di immettere in qualsiasi processo decisionale un “paragrafo”, un “incidente”, un’”esperienza”, o come la si voglia chiamare, un’occasione [meglio, una procedura standardizzata] in cui far ricorso a metodologie contigue, a volte molto diverse, ma coordinate e coese verso lo scopo di comprendere e prevedere.

2. Il contesto “fluido” del rischio

Innanzitutto, dico subito che ritengo esistere una vera sfida cognitiva: rendere acquisita una multidimensionalità della moderna realtà, o meglio delle nuove frontiere dell’interrelazione umani / altre specie (animate o inanimate).

2.1 Aspetti della fluidità

Quella attuale non è la prima crisi che mette in pericolo la vita della civiltà.

Lo storico Arnold Toynbee ha descritto la società come un “organismo” vivente che attraversa determinati ritmi universali di crescita, sviluppo e decadenza[6].

Le sfide provenienti dall’ambiente a loro volta provocano una risposta nella società.

Le culture che si trovano ad affrontare sfide minacciose, si aggrappano inevitabilmente a idee fisse e modelli rigidi. Quando la struttura sociale di una civiltà e i suoi modelli di comportamento diventano troppo rigidi, quella società soccombe non riuscendo più ad adattarsi alle situazioni mutevoli. “Le attuali crisi globali sono veri presagi di un imminente sconvolgimento che farà vacillare le fondamenta della civiltà. Mentre l’attenzione mondiale si concentra sulla paura dell’estinzione, le intuizioni della nuova scienza di frontiera offrono uno scenario diverso, sostenendo che l’umanità si trova al vertice di un imminente cambiamento evolutivo”.

La comunità umana sta affrontando una situazione simile a quella della “comunità cellulare” contenuta da una larva di farfalla.

Miliardi di cellule s’impegnano a tempo pieno nella maturazione della larva che si nutre e cresce ininterrottamente. A un certo stadio di sviluppo, i processi metabolici cominciano a interrompersi e la vita nella prima comunità cellulare attiva della larva comincia a svanire. Tra le cellule morenti della larva, una popolazione emergente di cellule progressive “pensanti” risponde a una nuova consapevolezza. Queste cellule collaborano alla ristrutturazione della loro società per creare una farfalla, una nuova organizzazione che permette di sperimentare il futuro livello superiore della loro evoluzione.

Poiché la luce della nostra civiltà comincia a oscurarsi, le minoranze creative, l’equivalente delle “cellule immaginali” umane, rispondono alle nuove scelte di sostegno vitale. La sopravvivenza è fondata sulle nostre scelte che, a loro volta, sono completamente dipendenti dalla nostra consapevolezza collettiva, le “verità” sulle quali viviamo. Le verità fondamentali che formano collettivamente una società si possono definire i suoi paradigmi di base[7].

Le culture usano le verità del paradigma di base per comprendere il significato delle esperienze di vita[8]. Se le percezioni di un paradigma sono esatte, ci sarà offerta un’opportunità di usufruire di salute e coerenza. Se le percezioni sono distorte, in tal caso lo saranno anche la vita e la società.

2.2. Contenuti cognitivi della fluidità

Come A. Khanna–P. Khanna ricordavano che il ritmo del cambiamento sarebbe diventato tanto importante quanto il suo contenuto[9], tra i meriti dei futurologi come Toffler [10] vi è quello di aver intuito che il ritmo del cambiamento sarebbe divenuto tanto importante quanto il suo contenuto.

D’altronde, già studiosi di filosofia della scienza avevano individuato come il “contenuto’ non può essere scisso dal “contenitore”, se si vuole dare maggiore senso e molteplici letture della realtà. Simili visioni sono anche venute dagli studiosi moderni della Comunicazione: il contenitore e il contenuto debbono essere entrambi considerati per interpretare meglio il significato del messaggio.

Lo shock del futuro, quindi, viene determinato innanzitutto sull’umano, in base all’ansia indotta dal cambiamento qualitativo e quantitativo, tra cui c’è l’impatto della crescente innovazione tecnologica e della sua capacità di modificare il tempo-uomo verso quello (molto più veloce, anzi sempre più veloce) tempo- macchina.

In questo senso, l’effetto della tecnologia non risulta essere soltanto fisico o economico, ma anche e soprattutto sociale e psicologico. Come viene ricordato, qui se da una parte gli Informatici si uniscono ai Fisici per studiare la computazione quantistica a livello subatomico, in cui gli elettroni potrebbero divenire i conduttori delle informazioni. Dall’altra, i Biologi hanno compiuti enormi passi in avanti nella computazione molecolare, che utilizza enzimi e stringhe di dna anzichè chips di silicio.

In tale contesto potrebbe non essere di poca importanza la notazione secondo cui la nuova caratterizzazione della Sicurezza Nazionale risulta sempre più inscindibile dal concetto di interesse del Sistema Paese, anche se “strategic concept” e “interesse nazionale” sono categorie non sempre chiare all’opinione pubblica…
Inoltre – al contrario – sono molto chiare a tutte le forze esogene (tra le quali quelle criminali e avversarie).

Nell’attuale contesto, infatti, risulta inafferente l’applicazione di superesperti umani alla gestione della complessità; situazione sempre più frequente, anzi ordinaria della realtà quotidiana.

Si pensi, ad esempio:

  • al crescente ricorso a sistemi di lotta che, non solo adottano tattiche specifiche (quale la dimensione urbana, il terreno microbiologico, la iperspecializzazione cognitiva), ma divengono sempre più diffusi e soprattutto più svincolati da ‘limiti comportamentali’ connessi al così detto buon senso;
  • alle moderne scelte dell’industria della difesa, che in taluni Paesi NATO sono tese a realizzare la massima efficacia con la maggiore efficienza; alcuni mezzi d’arma risultano obsoleti; altri, già considerati vecchi vanno recuperati (es. mezzi di superfice saranno più piccoli e, quindi, ad esempio, potranno essere imbarcati senza ricorrere necessariamente a mezzi specifici a decollo verticale – ciò accade, come noto, già ora nei teatri montuosi / desertici / urbani delle aree operative internazionali)[11].

3. Incertezza del futuro e certezza del rischio

Oltre all’aspetto “filosofico”, esiste quello “economico” e “giuridico”. Molte sono le norme e le regole tecniche che incidono sul corretto interfacciarsi di un’impresa con il “problema rischio”, ad iniziare da quelle intorno alla tutela della salute dei lavoratori e dei consumatori, oltre che dell’ambiente e della natura circostante.

Considerare correttamente – magari sulla base di un ‘rapporto di due diligence’ e/o di “audit giuridico” preventivi può portare, non solo ad una buona impostazione dell’approccio al rischio, ma anche ad una migliore conoscenza dello stesso per l’applicazione dei criteri economicità / efficacia / efficienza al cosiddetto ‘rapporto mezzi / fini’ di ogni impresa o di suoi progetti.

E tali approcci difficilmente, credo, potranno esimersi da prevedere:
(A) un’applicazione diffusa dei criteri di consapevolezza e addestramento (‘dal mero consenso alla effettiva partecipazione’);
(B) un’analisi dei precedenti e del valore di “lezioni apprese”[12];
(C) un’attività di previsione, con metodi e approcci predittivi[13];
(D) un’attività di simulazione, con relativa costruzione di modelli e loro validazione[14];
(E) un esame dell’applicazione dei concetti in esemplificazioni ed esercitazioni[15].

Già immagino l’imprenditore che, leggendo queste poche righe, dice: “ma chi paga per tutto questo tempo perso a fare disegnini e ipotesi?” Credo che la risposta sia semplice, avendo visto troppo spesso imprese portate al tracollo per il mero fatto di “non aver voluto prevedere”…!

A questo punto, si potrebbe introdurre il concetto di “conoscenza incerta” e come impatta sul concetto di “rischiosità” cui l’impresa deve approcciarsi per evitare perdite anche notevoli.

Parlando di conoscenza “incerta”, non intendo semplicemente distinguere ciò che si sa per certo da ciò che è solo probabile.

Anche il gioco della roulette è soggetto a questo genere d’incertezza e lo stesso aggettivo può essere applicato con questo senso, per esempio, alla prospettiva di una guerra in Europa, o alle previsioni sul prezzo del rame, o all’ipotetico tasso d’interesse tra vent’anni.

Argomenti per i quali non c’è nessuna base scientifica su cui fondarsi per qualsiasi calcolo delle probabilità: semplicemente, non sappiamo. D’altronde anche il moderno utilizzo di algoritmi prevede la scelta soggettiva della loro impostazione.

Ciò nonostante, la necessità di agire e di decidere spesso spinge i pratici a passare sopra questa scomoda evidenza.

L’incertezza, così come la delinea il celebre economista britannico J.M. Keynes, è divenuta nel corso del Novecento la vera frontiera del pensiero filosofico-scientifico, impegnato nell’arduo tentativo di costruire i mezzi con cui dare una descrizione razionale dei fenomeni «incerti»[16]. Ma all’impresa, ovviamente, non interessa l’aspetto filosofico, bensì quello economico; forse per cercare di evitare maggiori costi, o addirittura il fallimento. E al legislatore potrebbe interessare quello sociale, magari per prevenire l’impatto di comportamenti ad alto costo per il gruppo.

Mi chiedo: “società del rischio” è sinonimo di “società dell’incertezza”?
E penso che, perlomeno ai fini pratici, la risposta sia positiva.

4. Conclusioni

Volendo delineare delle conclusioni, cosa di per sé già non semplice, si potrebbe ipotizzare un possibile percorso della società, quindi anche delle imprese.

Intendo dire che avere la capacità di vedere prospetticamente la propria realtà organizzativa proiettata in un contesto iperconnesso, quindi globalizzato, quindi – de facto – internazionalizzato, non può non far predisporre tutti quei meccanismi idonei a difendere i propri assets (specie non economici) ed eventualmente azioni di “difesa attiva” tali da competere con “aggressioni” anche straniere.

Ma tale “predisposizione” coincide – a mio modesto avviso – anche con la preparazione contro la più generica “rischiosità”.

Per concludere degnamente, vorrei peraltro richiamare alcuni concetti di Bauman, iniziando proprio con quelli che indicava come presupposti della crisi del mondo moderno: il tramonto di forti ideologie e la conseguente apatia politica; il declino del pubblico del “pubblico”, a vantaggio del “privato”; il culto ossessivo del corpo, con un aumento dell’edonismo; la rinunzia alla ricerca di legami sociali e la tendenza a sostituirli con una nebulosa e idealizzata “comunità”. Ma degli aspetti indicati dallo stesso come sintomatici del malessere di vivere e organizzare, c’era anche un concetto di competitività esasperata, con l’ineluttabile caduta del senso civico e l’indebolimento delle strutture statali, con il successivo espandersi del liberismo.

Tutto ciò produce una crisi dell’identità, che a sua volta comporta mancanza di certezze.

In estrema sostanza, se il nostro ragionamento poteva essere valido prima del rinvenimento del carattere della fluidità, lo sarà ancora di più oggi, dove il rischio viene elevato all’ennesima potenza proprio dalla mancanza di certezze.

Parliamo pertanto dei modelli di protezione ex lege 231, fino ad arrivare ai programmi predisposti per essere in linea con la visione comunitaria e internazionale della due diligence… ma parliamo anche della Società quale gruppo sociale nel suo complesso, di cui l’ordinamento giuridico non può che essere uno specchio.

 

Note

[1] Bennis W., The Planning Of Change, 1985

[2] Toffler A., Future Shock, 1970

[3] Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, 2000 (ed.it.)

[4] Come ha ricordato Lo Presti A., la possibilità che la tematica offre nella creazione di scenari virtuali aderenti a quelli reali in termini di natura e complessità permette alle varie organizzazioni (militari e non) di addestrarsi preventivamente e congiuntamente in attività CEO (Complex Emergency Operations), il cui scopo è quello di rispondere agli eventi realizzati virtualmente e nelle modalità definite dagli obiettivi addestrativi. Ma quali sono i principali benefici? L’utilizzo della simulazione a supporto dell’addestramento preventivo ne offre di significativi in termini di: (1) Riduzione rilevante dei rischi e dei costi connessi ad un addestramento “live” (argomento di significativa importanza in questo periodo); (2) Possibilità di addestrare e valutare lo staff in situazioni “straordinarie” (eventi nucleari, batteriologici, disastri naturali etc.,) rispetto alla normale quotidianità; (3) Possibilità di misurare e intensificare la cooperazione tra organizzazioni civili e militari tramite la condivisioni di scenari virtuali; (4) Valutare ed eventualmente supportare il processo di evoluzione delle procedure operative dell’organizzazione/i. È la stessa NATO a promuovere l’utilizzo della simulazione come strumento di addestramento preventivo, sponsorizzando, presso i Paesi aderenti, lo svolgimento di Computer Assisted Exercise (CAX), ovvero esercitazioni sintetiche costruttive con persone e sistemi simulati che reagiscono a comandi inseriti da persone reali, che permettono di “immergere” la Training Audience nelle condizioni di un addestramento realistico. In tale contesto, si pongono a supporto delle CAX i sistemi computerizzati di Modellazione & Simulazione (cito alcuni di quelli scelti dalla NATO: JTLS, JCATS, VBS2…) che permettono l’evoluzione temporale dello scenario sulla base degli algoritmi di interazione del sistema utilizzato.
Le caratteristiche dei sistemi – e in particolare il livello di risoluzione di gioco, come vedremo in un prossimo articolo – identificano la tipologia di TA da preparare supportandone l’addestramento e valutandone le capacità in termini di comando e controllo.

[5] Riterrei molto interessante, oltre che utile, leggere Chiara Galli, L’antropologia nella pianificazione delle operazioni militari: il modello di analisi ASCOPE-PMESII e la dimensione culturale ‘C’ e Angelo De Angelis, La dinamica dei sistemi complessi, gli effetti e gli obiettivi nella pianificazione delle operazioni militari (entrambi liberamente scaricabili dal sito della rivista Informazioni Difesa).

[6] Toynbee ha rivelato che i cicli vita/morte della società sono guidati da modelli di sfida-e-risposta. Ha inoltre affermato che una società si sviluppa velocemente, raggiunge l’equilibrio e infine entra in una situazione di “sbilanciamento” che produce nuove sfide ambientali.

[7] Secondo Thomas Kuhn, un paradigma è una struttura teorica che rappresenta le “verità” alla base di ogni particolare sistema di credenze, sia di natura scientifica che religiosa, economica o politica. In modo particolare, un paradigma di base rappresenta le “verità” accettate da una civiltà nel rispondere a tre domande fondamentali: come siamo arrivati qui? Perché siamo qui? E adesso che siamo qui, come possiamo trarne il meglio?

[8] È stato affermato che un cambiamento nelle credenze paradigmatiche di base produce inevitabilmente uno sconvolgimento e una riorganizzazione drammatica della civiltà umana. La storia della civiltà occidentale rivela l’ascesa e la caduta di tre varianti culturali precedenti, ognuna definita dal proprio paradigma di base unico. Il carattere di queste culture è descritto come “animista”, quello che rappresenta le culture aborigene come i Nativi Americani (o Indiani d’America) o i Druidi Celtici; “politeista”, esemplificato dalle culture Egiziane, Greche e Romane, e “monoteista”, ossia la cultura Giudaico-Cristiana formata dalle “verità” della Chiesa. Con il monoteismo, le eterne domande della civiltà ottennero come risposta le seguenti “verità”: Come siamo arrivati qui? Per intervento divino. Perché siamo qui? Per compiere azioni di moralità. E, adesso che siamo qui, come possiamo trarne il meglio? Vivendo secondo le leggi della Bibbia. Quando tutte le culture oltrepassarono i limiti della comprensione e dell’influenza del proprio paradigma, si arrivò all’evoluzione di nuove credenze, che a loro volta provocarono la futura versione della civiltà. L’ultimo sconvolgimento culturale avvenne quasi centocinquanta anni fa quando la civiltà rifiutò le credenze paradigmatiche monoteiste della Chiesa e, al loro posto, adottò le “verità” offerte dalla Scienza moderna.

[9] Khanna A.–Khanna P., L’età ibrida, il potere della tecnologia nella competizione globale, Torino, 2013

[10] Toffler A., Lo shock del futuro, 1970. Ed è soprattutto nell’altra opera, La guerra disarmata, che vengono confrontati struttura e obiettivi della società nel tempo attraverso la fase della Guerra; ma, a differenza di molti autori (come Rosencrance R., In Rise of the Trading State, Kennedy P., con Ascesa e declino delle grandi potenze, Luttwak E. con il concetto di “Geoeconomia’”, con Bergsten C.F. e Thurow L., che rispolverano la vecchia teoria di sostituire il confronto da militare ad economico), i coniugi Toffler arrivano a ipotizzare una “Guerra di Civiltà” tra le società delle tre economie: fisiocratica, industriale e della conoscenza, dove la “Geoinformatica” o meglio delle macro-aree regionali ricche e con più nazioni unite tra loro (Nord America, Europa Occidentale…) formano delle zone di reti più interconnesse che nelle aree povere e poco istruite del mondo. «Ciascuna società ha le sue esigenze economiche, politiche e militari. In questo mondo tripartito, la civiltà della Prima Ondata fornisce le risorse agricole e minerali, la civiltà della Seconda Ondata provvede al lavoro a basso costo e alla produzione di massa, mentre la civiltà in espansione della Terza Ondata afferma un nuovo dominio basato sulle metodologie con cui crea e sfrutta la conoscenza».

[11] Ma si pensi anche alla:

  • necessità di una cultura generale che inglobi tecniche di comunicazione efficace e interculturale, interna ed esterna; elementi di psicologia militare e di fisiologia; Awareness, percettività e veloce adeguabilità a nuove competenze;
  • necessità di adottare – sia per ragioni di training, sia di contabilità – modelli di simulazione e modellizzazione;
  • necessità per la società civile di acquisire (in modo quanto più possibile “sistemico”) una visione condivisa del proprio interesse nazionale, del proprio ruolo geopolitico come ‘sistema socio-economico”;
  • necessità di visione equo-solidale, ma quality oriented;
  • necessità di formazione di quadri militari specializzati nella cooperazione civile-militare e che sappiano operare in contesti di guerra ibrida a tutela degli interessi;
  • alle nuove sfide per una forza armata, derivanti dalla nuova iper-dimensionalità di azione e da crescita della micro- conflittualità:
    – la prima, più articolata, si fonda su esigenze specifiche di addestramento ed aggiornamento specializzati in aree operative, estere e/o critiche, comunque in aree che necessitino di sensibilità interculturali e adattative;
    – la seconda, più particolare, è indirizzata alla gestione di missioni “business oriented” o comunque connesse con scopi di protezione di interessi nazionali.

[12] Secondo la Teoria delle Catastrofi di Thom, la discontinuità è generalmente prodotta da un elemento infinitesimale. Basta un’ultima piuma a spezzare la schiena di un cammello sopraccaricato di peso. Basta una sola, ultima goccia a far traboccare il vaso.

[13] La previsione è però cosa tecnicamente diversa dalla predizione.

[14] Il metodo simulativo consiste nello sviluppare un modello virtuale che riproduca fedelmente il comportamento umano, così permettendo di osservarlo e riprodurlo, ovvero produrre un ipotetico comportamento sulla base di variabili fornite dal programmatore; può anche arrivare a fornire previsioni su comportamenti cognitivi, da verificare eventualmente con esperimenti.

[15] Il caso di maggior successo di impiego del metodo simulativo è stato il modello delle reti neurali artificiali, cioè sistemi computerizzati di elaborazione dell’informazione che operano proprio come il cervello umano. La psicologia dei processi cognitivi (percezione, attenzione, memoria, immagini mentali, apprendimento, formazione pensiero, sogni e ricordi, ragionamento, problem solving, linguaggio) che mira a scoprire come gli esseri umani si costruiscono le rappresentazioni, a partire dalle conoscenze possedute (+ Linguistica, Antropologia culturale, altre scienze sociali quali diritto ed economia) e come utilizzano queste rappresentazioni nella vita quotidiana, basando su di esse le proprie attività sociali, operando scelte soggettive.

[16] Ne è convinto Carlo Cellucci, docente di Logica all’Università di Roma «Sapienza», che nel saggio intitolato Filosofia e matematica (Laterza, 2002) studia l’intreccio fra queste due discipline e getta uno sguardo sul futuro della conoscenza umana, facendo dell’incertezza e della fallibilità non dei mostri da cui fuggire, ma parti integranti dell’evoluzione scientifica.

 

Articolo a cura di Carlo C. Carli

Profilo Autore

Carlo C.Carli (già OF 2 r / t. Army Leg.Ad. - sp.f. M&S NATO – former In-house Legal Counsel - Avvocato) è un "giureconomista aziendale” formatosi accademicamente nelle discipline giuridiche (consumatori, amministrativo, penale, mare) ed economiche (tributi, società e finanza internazionale) e operativamente quale manager di multinazionali dell'energia e della finanza.

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