Travel Securiy: Istruzioni per l’uso

Il contesto, il quadro normativo e le regole di implementazione della funzione aziendale di tutela del personale viaggiante e supporto allo sviluppo internazionale.

LO SCENARIO – IL CONCETTO DI RISCHIO

E’ sempre più frequente sentir parlare di rischio, di minaccia o di esposizione. A sentire i media verrebbe quasi da chiedersi se sia possibile viaggiare per vacanza come per lavoro senza correre rischi, ed è sufficiente recarsi presso un’agenzia di viaggio per constatare quanto, pur sempre con qualche esagerazione, qualcosa negli ultimi tre anni sia effettivamente cambiato. L’offerta di località in cui viaggiare risulta oggi molto ridotta, anche a discapito di aree e paesi – come Egitto e Tunisia – da sempre tra le principali località turistiche a basso costo in cima alle classifiche di vendita. Sono quindi quelle le aree a rischio da evitare? Niente di più falso: purtroppo, non è più così facilmente identificabile un preciso perimetro geografico rischioso. I recenti attentati in Costa Azzurra o in Baviera dimostrano, infatti, come questo concetto di rischio sia ora riferito a tutto ciò che è ravvisabile come un soft target e non come un luogo preciso.

Un albergo, una festa di piazza, una coda al check-in in aeroporto…tutti siti di forte esposizione indipendentemente dalla città in cui ci si trova. In questo scenario, soprattutto per le aziende internazionali che impiegano all’estero un gran numero di lavoratori, la probabilità di vedere i propri dipendenti coinvolti in incidenti di ogni tipo diventa quindi sempre più alta.

Quanto fino ad ora osservato risulterà quasi scontato e risaputo ma, tuttavia, alcune aziende non hanno ancora adottato in maniera omnicomprensiva un dispositivo di sicurezza a protezione dei propri dipendenti trasfertisti ed espatriati.

IL CONTESTO ATTUALE – UN CA15SO UNICO

Le aree del Nord Africa e del Sahel, attualmente, sono considerate tra le più pericolose al mondo a causa della presenza di gruppi terroristici, organizzazioni criminali e profonda instabilità politica. Ciò nonostante, queste aree sono continuo teatro di incidenti di sicurezza a causa del notevole numero di aziende operanti in loco attraverso personale in trasferta. Uno di questi casi, certamente tra i più sentiti e vicino a noi italiani, è quello che ha recentemente coinvolto quattro connazionali in Libia, tecnici di un’azienda operante da molto tempo nel paese, per due dei quali è finita nel più tragico e doloroso dei modi. Solo due di loro, infatti, sono sopravvissuti per essere poi liberati in circostanze non ancora chiarissime.

L’impatto è stato molto serio anche per la nota azienda di costruzioni: il danno reputazionale derivante dal fatto di aver lasciato senza protezione i quattro dipendenti avrà di sicuro delle forti ripercussioni sullo sviluppo ma non solo. La magistratura avrebbe infatti indagato uno dei manager che rischia di essere accusato della violazione degli obblighi per la tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro e, sempre a suo carico, potrebbe addirittura configurarsi l’omicidio colposo a causa della mancanza, nel Documento di Valutazione dei Rischi previsto dal D.lgs. 81/2008, della contemplazione del rischio di sequestro e relative misure di mitigazione. Questa mancanza è purtroppo molto frequente a causa del fatto che, nonostante il decreto 81 (che recepisce in pieno la direttiva comunitaria 89/391 CEE) faccia esplicito riferimento a tutti i rischi, spesso viene interpretato solo per ciò che concerne la prevenzione di incidenti di natura infortunistica.

In questa infausta vicenda c’è anche una novità che traccerà un solco nella giurisprudenza: ciò che sembrerebbe ora contestato dai PM sarebbe la violazione dell’articolo 2087 del codice civile – che impone all’imprenditore in ragione della sua posizione di garante dell’incolumità fisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze anche nei confronti di fatti illeciti commessi da terzi – e che per la prima volta si estende al tragitto per arrivare sul posto di lavoro e non solo al luogo stesso (in quel caso un cantiere). Altro dato preoccupante è che la Farnesina, a cui è necessario comunicare i dettagli delle trasferte in zone critiche, non sapesse come in realtà i tecnici avrebbero compiuto gli spostamenti. Risulterebbe infatti una comunicazione dell’azienda in cui avrebbe dichiarato che i tecnici si sarebbero spostati via mare.

Come se tutto quanto finora esposto non bastasse, ad aggravare in maniera definitiva la posizione dell’azienda sembrerebbe stato il fatto che, nonostante conti oltre settemila dipendenti per lo più operanti all’estero, prima del sequestro del luglio scorso non avrebbe avuto un responsabile che si occupasse in maniera specifica della sicurezza dei trasferimenti dei suoi lavoratori. E’ ancora più recente un altro caso di sequestro, sempre in territorio Libico, conclusosi con la liberazione di due ostaggi italiani e uno canadese. In questa vicenda sembrerebbe più o meno chiarito si sarebbe trattato di un errore dei rapitori che avrebbero creduto di rapinare il manager di un’altra azienda italiana di costruzioni durante la fase di consegna del salario agli operai presenti in un cantiere in loco. Invece, sull’auto attaccata, hanno trovato dei normali dipendenti, poi rapiti nella speranza di ottenere comunque un riscatto e monetizzare l’operazione. Ma questo non tranquillizza affatto: è quindi evidente quanto sia esposto un manager operante in determinate aree. I rapitori/rapinatori avevano informazioni abbastanza precise, circostanza che lascia intendere avessero un basista.

Considerato il largo uso che le aziende operanti in ambito internazionale fanno di fornitori e consulenti senza che la security aziendale o altra funzione addetta a controlli ne verifichino referenze, background e network di relazioni, non è infatti difficile finire in mani sbagliate ed esporsi a rischi analoghi.

LA SICUREZZA DEI VIAGGI – COME PUÒ ESSERE GARANTITA DALL’AZIENDA?

Il controllo di partner e fornitori, così come la destination intelligence, sono solo una piccola parte della disciplina di travel security aziendale. L’implementazione di un sistema di gestione della sicurezza del personale viaggiante è infatti sicuramente complessa ma non richiede investimenti insostenibili ed è velocemente attuabile, in funzione della dimensione aziendale, attraverso un piccolo gruppo di professionisti. Ci sono aziende italiane che su questo hanno fatto scuola e, grazie a questa moderna funzione aziendale, supportano e incentivano da molti anni gli spostamenti – e quindi lo sviluppo internazionale – dei propri dipendenti e del proprio business. Il sistema di travel security deve, innanzitutto, rispondere a due gruppi di requisiti: quello previaggio e quello on-site.

Al primo gruppo sarà necessario rispondere attraverso l’analisi delle minacce che possono avere impatto sui lavoratori acquisendo, attraverso un provider esperto, un servizio di alerting in real time: una sorta di servizio di informazioni e news costantemente aggiornate sui rischi di ogni categoria e paese. Contestualmente, è altrettanto fondamentale creare un processo di training che risponda alle esigenze del viaggio, clusterizzandolo in base alla rischiosità dell’area visitata.

Per rispondere al secondo gruppo, invece, saranno da implementare tutti gli strumenti di protezione e di mitigazione da adottare per garantire concretamente l’incolumità del trasfertista durante gli spostamenti. Sono questi i dispositivi di protezione individuale che molti invece ancora identificano esclusivamente in scarpe antinfortunistiche e guanti speciali. Questi dispositivi, inseriti nel Documento di Valutazione dei Rischi come misure di mitigazione e prevenzione per ogni singola minaccia mappata, devono essere definiti a livello paese attraverso un processo snello, chiaro e automatizzato, basato su continui aggiornamenti della situazione del rischio, dei principali mutamenti di scenario e fattori che possono avere influenza contestualizzata all’ambito sicurezza: allerte sanitarie, disastri naturali, sicurezza e criminalità, terrorismo.

In funzione quindi del rischio paese, classificato in base a questi cluster, sarà necessario adottare delle misure specifiche che inizieranno con raccomandazioni comportamentali (evitare luoghi affollati, code e assembramenti, luoghi frequentati da espatriati, impedire che il management ceni riunendosi nello stesso ristorante, ecc.) e arriveranno all’utilizzo di driver e agenti di scorta. Ma non basta. Per ogni paese è fondamentale creare dei piani di “estrazione” scritti, aggiornati e consultabili dalle autorità preposte.

Questi piani di gestione della crisi, alternativi ai piani di evacuazione convenzionali, devono fornire indicazioni precise sui casi e le modalità in cui è necessario abbandonare il paese o recarsi in safe areas appositamente allestite. Una procedura analoga è stata infatti attivata da un’azienda italiana che aveva in Turchia sette manager durante il recente colpo di stato. Il Responsabile Sicurezza dell’azienda, accertato il fatto che spostarsi soprattutto in aereo durante l’assedio avrebbe comportato rischi troppo grandi, ha attivato il piano previsto per la messa in sicurezza in loco. I sette manager sono stati infatti rapidamente portati attraverso un fornitore locale contrattualizzato per attivarsi in caso di crisi, in un area sicura, ed esfiltrati via terra in Bulgaria solo il giorno dopo con il ristabilirsi delle condizioni minime di sicurezza.

E’ imprescindibile la conoscenza concreta e reale dei rischi a cui ci si espone altrettanto quanto la giusta esperienza per comprenderli e analizzarli: non è sufficiente leggere i giornali al mattino o collegarsi al sito della Farnesina.

Facciamo un esempio sull’Iran. Si tratta di un paese spesso visto, nell’immaginario collettivo, come luogo a rischio di attentati terroristici ed è frequente che chiunque sia prossimo ad un viaggio di lavoro in questo paese chieda una scorta per prevenire pericoli di questa natura. Mentre i rischi più gravi, in Iran, sono rappresentati da gesti apparentemente banali come indossare un indumento verde (simbolo religioso), stringere la mano alla receptionist dell’hotel, utilizzare una VPN o indossare una semplice cravatta! La conoscenza e la corretta gestione delle diversità culturali è fondamentale. Ad esempio, quanti HR Manager in questo momento storico si stanno formando sulle corrette regole di gestione ed integrazione di personale di religione islamica? Quanti aziende italiane in nord Africa o medio oriente sono organizzate per garantire spazi e pause per la preghiera per evitare qualsiasi tensione che trasformi l’azienda in un bersaglio? Sicuramente troppo pochi…

REGOLE E OBIETTIVI PER L’IMPLEMENTAZIONE DELLA TRAVEL SECURITY – I “MAIN SUBJECT”

Gli step per l’implementazione di policy, misure e servizi di travel security in azienda devono, dopo un’attenta e profonda analisi del core business aziendale, avere i seguenti main subject: il processo, le deleghe, la formazione, i servizi di assistenza e monitoraggio, le assicurazioni, la gestione della crisi. Soprattutto nella prima fase di planning sarà necessario definire il giusto posizionamento dell’azienda in merito alle tematiche di rischio e sicurezza. Ovvero, decidere quali aspetti verranno affrontati attraverso regole di security (mitigazione) e quali invece di awareness (accettazione).

La travel security deve essere basata su un processo di deleghe “blindato” che definisca con attenzione chi decide cosa, le modalità di prenotazione viaggi, le autorizzazioni, le polizze assicurative, le informazioni da fornire al viaggiatore. E questo processo deve essere in buona misura automatizzato per non rischiare di rallentare il business.

L’adozione di una politica di tutela dei viaggi deve contribuire, attraverso un’adeguata comunicazione interna ed esterna, al vantaggio competitivo aziendale derivante dalla giusta percezione di sicurezza da parte di viaggiatori, espatriati e loro famiglie. E tutto deve essere correttamente dimensionato, per non rischiare l’effetto contrario e quindi di alimentare inutili ansie e timori.

RISCHI E RESPONSABILITÀ DEL SECURITY MANAGER – IL PROFILO

Il rischio non riguarda solo gli asset fisici, qui si tratta della sicurezza delle persone, quindi, astenersi improvvisati. Per le motivazioni sopra descritte è buona norma che il Security Manager incaricato dell’implementazione della travel security sia un dirigente apicale con un riporto diretto al vertice aziendale gli consenta la corretta visione di insieme del business e di agire condividendo le azioni direttamente con il top management. Questo posizionamento, come giusto che sia, trasferirà su di lui la responsabilità ma anche il rischio.

Quando pensiamo alla risorsa di profilo più adatto dobbiamo dimenticare l’alto ufficiale delle forze dell’ordine in congedo: potrebbe non essere più sufficiente aver gestito l’ordine pubblico sul suolo italiano o aver preso parte a qualche missione internazionale in ambito pubblico.

Bisogna, invece, aver viaggiato molto, avere un network globale non solo istituzionale ma culturale e logistico: giornalisti, università, ospedali, ecc. E’ necessario avere una profonda conoscenza del funzionamento delle aziende private e familiarità con le principali dinamiche di business: equity, costo beneficio e comunicazione. La lezione fondamentale che stiamo imparando da questo nuovo scenario è che la sicurezza non si fa più solo con guardie del corpo e fucili: il vero nemico è l’imprevisto e l’imprevisto costa.

A cura di: Lucio Mattielli

Lucio Mattielli: Laureato con lode in discipline relative a Security e Safety, ha conseguito due Master e sei certificazioni internazionali. Dopo aver iniziato giovanissimo la carriera nei servizi di Intelligence, ha continuato ad operare in ambito Sicurezza per oltre quindici anni arrivando a ricoprire il ruolo di Vice President Security operando a capo di multinazionali quotate appartenenti alle Fortune 100 e Fortune 500 consolidando la sua esperienza in Europa, Africa, Medio Oriente, Sud America, Estremo Oriente e India. Docente di Intelligence, Corporate Security e Crisis Management presso rinomate università, è il Fondatore e Direttore della Divisione Servizi Professionali del più grande provider italiano di servizi di sicurezza operante in 200 paesi. Ha creato il primo sistema completamente italiano di gestione globale della Travel Security per le aziende.

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