Crisi energetica e interdipendenza tra Russia e Unione Europea

La crisi energetica rientra tra le numerose pesanti conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina il problema della dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo è oggi di particolare rilievo. Il bisogno di garantire una maggiore sicurezza energetica sganciandosi dai combustibili fossili russi è la priorità della Commissione Europea, che nelle scorse settimane ha inoltre messo in atto una serie di sanzioni economiche pesantissime su Mosca.

Il problema è enorme, perché l’Europa dipende dalle forniture russe per il 45% del proprio fabbisogno: nel 2022 i guadagni russi per l’export di gas sono aumentati del 178% rispetto all’anno precedente, con un record storico che si avvicina ai 10 miliardi di dollari.

Ciò si è reso possibile perché già prima del 24 febbraio, giorno in cui la Russia ha dato inizio all’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina, l’Europa si trovava nel mezzo di una crisi energetica, scatenata da molteplici fattori. Nel 2021, con la ripresa dei mercati dopo il peggioramento dovuto al Covid, si è verificato un innalzamento nella richiesta mondiale di idrocarburi, specificatamente gas naturale e carbone, per produrre elettricità. Il sovraccarico ha causato ritardi nella supply chain, aumentando il costo delle spedizioni tramite navi, con un aumento del prezzo del LNG, il cosiddetto liquified natural gas. A questa situazione si aggiungono le sfavorevoli condizioni meteorologiche causate dai cambiamenti climatici, la manutenzione di molte infrastrutture energetiche e la chiusura di tre reattori nucleari in Germania.

Allo stato attuale, l’Europa e la Russia si trovano di fatto in una situazione di interdipendenza energetica: la Russia ha bisogno di esportare il gas in EU per accedere ai mercati europei, mentre l’Europa ha bisogno di importarlo per poter soddisfare il proprio fabbisogno.

Con RePowerEU la Commissione Europea spinge sulle rinnovabili

Se già la situazione risultava problematica, con l’attacco all’Ucraina e le ripetute minacce non troppo velate verso il resto del mondo, l’obiettivo principale della Commissione Europea è diventato liberarsi dalla stretta di Putin.

In questo quadro è stato presentato l’8 Marzo il documento “RePowerEU”, che anticipa molti degli obiettivi già previsti nel pacchetto di misure “Fit for 55”, emesso a luglio dell’anno scorso e contenente proposte legislative per raggiungere entro il 2030 gli obiettivi del Green Deal.

Alla base del disegno la necessità di puntare sulle energie rinnovabili e contemporaneamente diminuire il più possibile l’importazione e il finanziamento di combustibili fossili provenienti da altri paesi.

Con Fit for 55 si prevedeva in Europa una riduzione dei consumi di gas di circa il 30% entro il 2030, pari a 100 miliardi di metri cubi. Con Repower il progetto diventa ancora più ambizioso: l’intento è di tagliare già nel 2022 il consumo di 40 miliardi di di gas e di eliminare gradualmente i 155 miliardi di metri cubi di consumo di gas fossile che attualmente importiamo dalla Russia. Ciò sarà possibile secondo la Commissione diversificando la lista dei paesi che forniscono energie fossili all’Europa e puntando sull’aumento di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Tra le prime misure del pacchetto la volontà di ridurre i consumi energetici degli edifici tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici e modificando le abitudini comportamentali: con la diminuzione di 1 solo grado per i riscaldamenti negli edifici d’inverno si potrebbero risparmiare fino a 10 miliardi di mc di gas.

Per quanto riguarda l’incremento di utilizzo delle rinnovabili, si punterà sul biometano e sull’idrogeno, snellendo la parte burocratica per l’autorizzazione di nuovi progetti.

Il biometano è una fonte di energia rinnovabile che si ottiene da scarti agricoli e rifiuti organici, con caratteristiche e condizioni di utilizzo corrispondenti a quelle del gas metano e idoneo all’immissione nella rete del gas naturale. L’obiettivo dell’UE è quello di produrne almeno 3,5 miliardi di m³ entro la fine del 2022 e 35 miliardi entro il 2030, raddoppiando l’obiettivo che era stato prefissato da Fit for 55.

Dal canto suo l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili, il cosiddetto idrogeno verde, permetterebbe di abbattere le emissioni in alcuni settori, soprattutto in quello industriale. Con l’implementazione della produzione di idrogeno verde si stima di arrivare nel 2030 a una diminuzione tra i 25 e i 50 miliardi di m³ di utilizzo del gas.

Nel disegno legislativo è stata affrontata anche la questione degli stoccaggi: entro Aprile dovrebbe essere elaborata una proposta per assicurare che i depositi siano riempiti al 90% entro il 1 gennaio di ogni anno. La Commissione è disposta anche a creare degli stoccaggi comuni a livello europeo.

Nel pacchetto inoltre previste misure fiscali che concedono agli Stati membri di fornire aiuti per le imprese e i cittadini in difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi.

L’impegno dell’EU e dell’Italia verso una maggiore diversificazione

Insieme alla spinta sulle politiche ambientali e climatiche, l’Europa sta sviluppando una strategia di diversificazione che spera possa portarla a ridurre di due terzi la dipendenza attuale dalla Russia. I nuovi accordi commerciali si stanno sviluppando in particolare con l’Azerbaigian, l’Algeria, la Norvegia e con l’approvvigionamento via mare dagli USA, il Qatar e l’Egitto.

La direzione presa dall’Europa verso l’abbandono dei combustibili fossili risulta in contrasto con alcune delle dichiarazioni che stanno infuocando il dibattito politico italiano, come quella del presidente Draghi che ha ipotizzato la riapertura emergenziale delle centrali a carbone.

La situazione in Italia è precaria: secondo un report del 2021 di Italy for Climate, la dipendenza energetica del nostro paese è tra le più alte in Europa, con l’import di combustibili fossili che raggiunge addirittura il 77% del fabbisogno nazionale.

La poca lungimiranza del governo italiano nelle scelte di approvvigionamento degli ultimi anni ha portato il paese a dipendere in particolar modo dalla Russia, da cui l’Italia importa tutte le fonti fossili: Mosca è il primo fornitore nazionale di carbone e gas e il terzo di petrolio.

Proprio sulla diversificazione delle fonti di gas si sta concentrando ora l’impegno del governo e del Ministro degli Esteri Di Maio. L’intenzione è quella di aumentare i flussi tramite i gasdotti già esistenti, come ad esempio il TAP, che collega l’Azerbaigian all’Italia, raddoppiando la propria capacità. Il problema però risulta più complicato del previsto a causa dei rapporti tra Azerbaigian e Russia: Putin e Aliyev poco prima dello scoppio del conflitto in Ucraina hanno firmato una “Dichiarazione di Interazione Alleata” che di fatto ha siglato un avvicinamento storico tra i due paesi dopo la caduta dell’URSS. Va inoltre tenuto presente che l’Azerbaigian esporta gas tramite la South Caucasus Pipeline (SCP) verso Turchia e Georgia, da cui poi il gasdotto si dirama nel TANAP turco e nel TAP europeo. Ma alcune regioni della Georgia sono ancora occupate dai russi dal 2008, rendendo quindi il gasdotto non molto sicuro.

Tra gli altri paesi con cui si cercano accordi commerciali spiccano il Qatar, uno dei principali esportatori mondiali di gas liquefatto e già tra i maggiori fornitori per l’Italia, e l’Algeria, la cui instabilità politica interna però potrebbe causare un improvvisa paralisi delle forniture.

La spinta del governo italiano è diretta dunque verso nuovi partner commerciali, ma la situazione è critica e non sarà di facile e veloce risoluzione. Per ora il vicepremier russo Novak ha fatto sapere che la Russia non ha intenzione di bloccare i flussi energetici verso l’Europa, ma se ciò dovesse improvvisamente cambiare il primo paese europeo a subirne le conseguenze sarebbe proprio l’Italia, insieme alla Germania.

 

A cura della Redazione

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