Telecamere nei luoghi di lavoro. Un commento alla sentenza della Corte di Strasburgo in tema di videosorveglianza

Interessante il commento di Antonello Soro – Presidente del Garante per la protezione dei dati personali – alla sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo che ammette la videosorveglianza occulta del lavoratore ma solo in quanto extrema ratio.
La Corte infatti da una parte giustifica le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo.

“L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era alquanto circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi”.

La videosorveglianza occulta non può divenire una prassi ordinaria, ma è ammessa solo a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore.

Il requisito essenziale perché i controlli sul lavoro, anche quelli difensivi, siano legittimi resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza.

Questa sentenza sembra aver suscitato grande scalpore nonostante tali principi fossero già stati espressi in precedenti pronunce e dunque in tale occasione la Corte ribadisce un orientamento giurisprudenziale già consolidato.

Già nel 2010 la Cassazione aveva ritenuto utilizzabili nel processo penale i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano, pertanto, l’esistenza di un divieto probatorio. Ancora in altra motivazione si legge che “Le prove di reato acquisite, nei confronti di un dipendente, mediante videoriprese effettuate con telecamere installate sul luogo di lavoro sono utilizzabili nel procedimento penale, non rientrandosi nella fattispecie del “controllo a distanza” dell’attività dei lavoratori, vietato, in assenza di autorizzazione sindacale o amministrativa, dagli art. 4 e 38 dello statuto dei lavoratori – legge 20 maggio 1970, n. 300 – bensì in quella dei controlli c.d. difensivi, legittimi in quanto finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale da condotte illecite esulanti lo svolgimento di attività lavorativa”.

Recentemente la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema con la sentenza n. 10636/2017, confermando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui i controlli difensivi – al di fuori di quanto previsto dall’art. 4 della L. 300/1970 – sono da intendersi leciti purché vi sia un giusto equilibrio tra i rispettivi e contrapposti diritti alla luce dei principi della ragionevolezza e della proporzionalità. In tema di liceità dell’utilizzo di impianti audiovisivi e strumenti di controllo, peraltro, la recente modifica dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ad opera del D.Lgs. 151/2015 ne ha riformulato i presupposti, affiancando alle “esigenze organizzative, tecniche e produttive” le esigenze relative alla “sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale”: l’integrazione apportata risulta comunque essere tanto generica quanto liberamente interpretabile.

Ancora nel 2018 la Cassazione con sentenza n.4367 ha ribadito l’utilizzabilità nel processo penale dei risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti illeciti dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori non vietano i controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano l’esistenza di un divieto probatorio.

La giurisprudenza ha da sempre ritenuto che i «controlli difensivi», quelli cioè volti a tutelare il patrimonio aziendale e ad evitare che un dipendente possa commettere reati all’interno dell’azienda, possono legittimare l’uso della telecamera-spia, anche se non concordata coi sindacati. Ma ciò a condizione che l’impiego della video sorveglianza non leda la dignità del lavoratore (tale sarebbe, ad esempio, una telecamera montata nel bagno o puntata solo su un unico dipendente, allo scopo di controllarne ogni minimo spostamento 8 ore al giorno).

Hanno scritto in passato i giudici: «l’installazione, non concordata con le organizzazioni sindacali, né autorizzata dalla direzione provinciale del lavoro, di impianti e apparecchiature di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori solo se il controllo non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e purché fosse attuato con modalità non invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei lavoratori dipendenti».

Questo significa che non si può installare la telecamera-spia con l’intento difensivo se già non ci sono validi sospetti del reato del dipendente. La telecamera-spia in funzione “preventiva”, ossia volta a saggiare la fedeltà del dipendente, è di conseguenza illegale.

 

Articolo a cura di Federica Maria Calì

Profilo Autore

Federica Maria Calì è nata a Catania, dove nel 2012 ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza. Ha proseguito gli studi con il Diploma di Specializzazione per le professioni legali nel 2014 e nel 2016 ha conseguito l'abilitazione per la professione forense.
Ha collaborato con uno studio legale specializzato in diritto civile e tutela dei consumatori e negli ultimi anni ha seguito diversi corsi in materia di Privacy, Data Protection, Cybercrime e Cybersecurity.
E’ Privacy Specialist certificato FAC Certifica.

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