L’omicidio stradale: disciplina normativa ed incertezze applicative

Com’è noto, il codice penale punisce quei soggetti che si siano resi autori di un reato a danno di altri individui o di beni meritevoli di protezione da parte dell’ordinamento.

L’omicidio stradale, quale figura particolare di reato, si inserisce a pieno titolo in quel filone “caratterizzante” che vede l’ascesa di norme sempre più specifiche a discapito della generalità ed astrattezza che fanno riferimento ai principi regolatori del diritto.

La scelta del legislatore, dovuta all’aumento di decessi collegati a violazioni del codice della strada, ha dato vita ad una disposizione molto articolata che identifica una figura delittuosa totalmente nuova e distinta rispetto all’omicidio colposo. L’emanazione della Legge n. 4 del 23 marzo 2016 ha previsto l’abrogazione del quarto comma dell’articolo 589 del codice penale al fine di introdurre la disposizione di cui all’articolo 589-bis del medesimo codice quella, appunto, riguardante l’omicidio stradale.

La suddetta norma disciplina tre ipotesi di reato che sono assoggettate, a loro volta, a tre diversi regimi sanzionatori. La prima punisce “chiunque cagiona, per colpa, la morte di una persona a seguito della violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale”, mantenendo la stessa pena che era originariamente prevista dalla fattispecie individuata nell’omicidio colposo, vale a dire la reclusione da due a sette anni.

Più grave è invece l’ipotesi relativa al caso in cui la morte di una persona sia causata per colpa da “chiunque si ponga alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica quantificato con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope”. La pena prevista in tale circostanza è quella della reclusione da otto a dodici anni.

L’ultima fattispecie, che prevede la reclusione da cinque a dieci anni, si verifica nel caso in cui la morte di una persona sia cagionata per colpa dal conducente di un “veicolo a motore che si trovi in stato di ebbrezza alcolica quantificato con un tasso alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 g/l”.

La pena della reclusione da cinque a dieci anni è prevista anche per altre fattispecie. Esse puniscono il conducente che abbia causato la morte di un altro soggetto:

  • guidando nei centri urbani ad una velocità almeno pari al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h o su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita;
  • attraversando un’intersezione con il semaforo rosso;
  • circolando contromano;
  • invertendo il senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi;
  • sorpassando un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di una linea continua.

Il reato in questione è da considerarsi aggravato nel caso in cui alla guida vi siano persone sprovviste di patente o la cui patente sia stata sospesa o revocata ovvero nel caso in cui il veicolo col quale è stato commesso l’omicidio sia privo di assicurazione obbligatoria.

A contrario, è prevista l’attenuante della riduzione di pena fino alla metà allorquando la morte della vittima sia avvenuta con concorso di colpa di quest’ultima.

Ipotesi specifica, la quale si discosta dalle circostanze aggravanti del reato, è quella dell’omicidio stradale plurimo. Esso si verifica quando l’azione delittuosa del reo sia causa della morte di più persone. Per tale fattispecie il legislatore ha stabilito che venisse comminata la pena per la violazione più grave aumentata fino al triplo. In questo caso la reclusione può arrivare sino ad un massimo di diciotto anni ed i termini prescrittivi sono raddoppiati.

La prescrizione è parimenti raddoppiata se il reato è stato commesso da un soggetto in stato di ebbrezza alcolica, con tasso superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Com’è facile intuire, la conseguenza più immediata per l’omicidio o le lesioni personali stradali è quella della sospensione o della revoca della patente. La prima può avere una durata massima di cinque anni, mentre la seconda, in caso di fuga del conducente, può arrivare fino ad un massimo di trent’anni.

Da quanto asserito emerge chiaramente che l’art. 589-bis del codice penale ha permesso di regolare e di sanzionare una tipologia di condotta delittuosa che è, purtroppo, comunemente riscontrabile nelle grandi città. Ma se la disposizione in parola ha astrattamente adempiuto al compito per la quale è stata emanata, lo stesso non può dirsi riguardo ai metodi di accertamento della velocità del veicolo o del tasso alcolemico o delle alterazioni psicofisiche del guidatore.

Nonostante l’introduzione di perizie coattive da eseguirsi sulla persona del reo per ordine del Giudice o del Pubblico Ministero, le questioni attinenti alle condizioni e all’effettiva velocità di marcia della vettura rimangono, ancora oggi, di difficile soluzione.

Una risposta al problema sembrava essere la cosiddetta “scatola nera”, vale a dire un dispositivo che una volta installato all’interno dell’auto, è in grado di fornire informazioni dettagliate e continuative in merito alle condizioni del mezzo.

Sebbene, inizialmente, l’efficacia di una simile apparecchiatura fosse incontestabile, nel corso del 2017 proprio tale incontestabilità ha portato la giurisprudenza a dubitare degli effetti che i dati raccolti dalla “scatola nera” avrebbero avuto nel contraddittorio fra le parti.

A tal proposito l’art. 145-bis del d.lgs. n. 209/2005 (cd. “codice delle assicurazioni private”), conferisce alle risultanze della “scatola nera” il valore di prova legale. Così se una parte produce, nel corso del processo, i dati relativi al registro delle attività del veicolo incidentato, l’altra avrà l’onere di dimostrare il mancato funzionamento o la manomissione del dispositivo di rilevazione.

Ai fini di una siffatta confutazione si renderebbe, però, necessario richiedere una perizia tecnica, la quale, paradossalmente, godrebbe di un valore probatorio minore rispetto alle risultanze che la stessa sarebbe chiamata a smentire.

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, l’eccessivo vantaggio istruttorio di una parte a discapito dell’altra integrerebbe una palese violazione del principio della “parità delle armi” all’interno del contradditorio.

Da qui l’eccezione di incostituzionalità della norma in discussione, in relazione alla quale si attende la pronuncia dirimente della Consulta.

Sebbene la richiamata disposizione non presenti profili di assoluta chiarezza dal punto di vista costituzionale, è innegabile che i dati raccolti dalla “scatola nera” non solo hanno il merito di esplicare alcuni aspetti legati al sinistro, ma permettono di conoscere, con ragionevole certezza, determinati elementi tecnici che possono rivelarsi fondamentali per comprendere dinamica e condizioni dei veicoli al momento dell’incidente, facilitando così il compito dell’organo giudicante e limitando il più possibile le ricostruzioni ipotetiche dell’accaduto.

In questo senso sarebbe auspicabile un maggior utilizzo delle centraline di rilevazione se non addirittura l’obbligatorietà delle stesse a bordo di qualunque mezzo che circoli su strade urbane ed extraurbane sia su territorio nazionale che europeo.

Da quanto brevemente esposto si comprende come le questioni inerenti il reato di omicidio stradale siano costantemente oggetto della dialettica giurisprudenziale. Il perenne confronto fra norma ed innovazione tecnologica condurrà ancora una volta a quella sintesi ideale che prende il nome di “diritto vivente”.

 

BIBLIOGRAFIA

  • FERRANDO MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Speciale, CEDAM Editore, 2018;
  • MASSIMO ANCILLOTTI/GIUSEPPE CARMAGNINI, Il nuovo reato di omicidio stradale, Maggioli Editore, 2016;
  • GIANDOMENICO PROTOSPATARO, Omicidio stradale e lesioni personali stradali, Egaf Editore, 2016;
  • ROBERTO ACQUAROLI/STEFANO POLLASTRELLI, Il reato di omicidio stradale, Giuffrè Editore, 2017.

 

SITOGRAFIA

 

Articolo a cura di Matteo Cappelletti

Profilo Autore

Laureato nel 2011 con tesi in diritto penale: “Eutanasia e diritto penale” presso la LUISS Guido Carli.
Dal 2016 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma.
Dal 2016 è titolare dello studio legale Cappelletti – Bartolucci con sede in Roma ed in Arezzo.

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