Violenza politica, terrorismo ed eversione: è necessario un inquadramento sistemico?

Il concetto di terrorismo è spesso accompagnato da altri importanti concetti che si sovrappongono, si aggiungono, si integrano per concorrere a definire il tema più generale della violenza politica. Al di là delle specifiche definizioni esistenti di questi due concetti [1,2], i termini che ricorrono più frequentemente – assieme o affianco – alle parole terrorismo e violenza politica sono:

  • conflitto etnico e/o religioso;
  • ribellione;
  • rivoluzione;
  • guerra civile;
  • guerriglia;
  • colpo di stato;
  • strategia della tensione;
  • eversione.

In questo articolo si fornisce, con lo scopo di razionalizzare lo scenario con la finalità di svolgere successivamente analisi sulla prevenzione e sul contrasto efficace dei complessi fenomeni del terrorismo, della violenza politica e dell’eversione, un sintetico inquadramento di questi termini, in alcuni casi affini tra loro, ma sostanzialmente diversi nel significato. L’analisi e l’inquadramento qui presentati non hanno l’ambizione di essere né totalmente esaustivirigidamente rigorosi, ma intendono fornire una comprensione sistemica e logica dei temi trattati, con lo scopo di fornire ausilio a chi affronta aspetti tecnico-amministrativi legati a queste tematiche complesse.

La ‘violenza politica’

Con il concetto estremamente ampio di violenza politica, sintetizzando le definizioni di diversi studiosi [2,3,7], possiamo intendere in questa analisi delle azioni – di grande impatto fisico e/o psicologico e che infliggono gravi danni – perpetrate da individui singoli, gruppi di persone o Stati al fine di raggiungere degli obiettivi politici in un territorio (tipicamente uno Stato) governato da un sistema politico che si ritiene avversario, nemico, da combattere e modificare in qualche sua forma.

La violenza politica nasce, nella maggior parte dei casi, da situazioni in cui l’attaccante percepisce non percorribile la via politica ordinaria – regolata dalle leggi dell’istituzione o dello Stato contro cui si dirige l’azione – per raggiungere i cambiamenti che egli vorrebbe vedere realizzati.

In ragione di questa percezione di non percorribilità della via legale, lo strumento della violenza viene non solo giustificato ma inteso come indispensabile per il raggiungimento del fine politico in gioco, conducendo, ad esempio, alla scelta dell’azione terroristica per imporre il cambiamento.

Se quanto sopra discusso è uno dei punti vista da cui partire nell’analisi del concetto di violenza politica, non possiamo non considerare un secondo punto di vista, per certi versi opposto, in cui è uno Stato stesso a scegliere in modo deliberato di adottare sul territorio che governa la violenza politica come strumento per intimidire e condizionare la popolazione, fino a raggiungere il totale controllo – attraverso degli atti di violenza o la minaccia al ricorso della violenza – della vita politica e sociale della comunità governata.

Un terzo punto di vista – che si presenta sovente negli accadimenti della storia – è quello della violenza politica perpetrata da apparati dello Stato – ad esempio gruppi militari o paramilitari – che realizzano un colpo di Stato (anche detto golpe) e utilizzano la violenza politica come strumento di eversione e successivo controllo sia degli avversari destituiti sia della popolazione contraria al cambiamento imposto.

Un quarto punto di vista – presentato per terminare questa rapida introduzione, ma non certo esaustivo dell’analisi – è quello di uno Stato che utilizza la violenza per difendersi da una invasione di uno Stato ostile o dalla minaccia di gruppi clandestini o non clandestini di tipo paramilitare, che ambiscono a prendere il potere in sostituzione dell’autorità costituita in quel territorio. In questo caso la violenza è praticata in modo selettivo, dallo Stato attaccato, contro il nemico, nel tentativo di salvaguardare il resto della popolazione, i cosiddetti civili, dagli effetti della violenza stessa.

Come si vede già dalla sintetica analisi introduttiva, la violenza politica – che contiene al suo interno il concetto di terrorismo – può assumere di principio un numero di forme molto diversificate, a seconda del contesto in cui si applica e dei soggetti che la praticano.

Nel seguito analizzeremo, sempre in modo sintetico ma al contempo scendendo ad un dettaglio maggiore rispetto a questa introduzione, le diverse tipologie di violenza politica partendo da una ripartizione concettuale legata ai soggetti che la praticano, con una tassonomia sistemica rappresentata nella fig.1.

Fig.1 – Inquadramento delle diverse tipologie di violenza politica partendo da una ripartizione concettuale legata ai soggetti che la praticano.

La violenza politica di individui e gruppi (non Stati) contro i civili

In questo caso di violenza politica si esprime tra individui e/o gruppi contrapposti, senza un ruolo attivo nel conflitto svolto dalle forze di polizia e di sicurezza dello Stato in cui il contrasto si presenta. Per essere sintetici possiamo indicare, come mostrato in fig.2, tre forme tipiche di conflitto:

  • conflitto etnico, cioè tra gruppi di popolazione contrapposti che hanno come elemento aggregante di gruppo la lingua, la cultura, le tradizioni e le memorie storiche, tipicamente ancorate ad uno specifico territorio;
  • conflitto religioso, cioè tra gruppi di popolazione contrapposti a causa dal credo religioso, con influenze dirette anche su alcuni aspetti etnici dei gruppi;
  • conflitto razziale, cioè tra gruppi di popolazione contrapposti che hanno come elemento aggregante di gruppo quello di una presunta catalogazione razziale degli esseri umani, basata principalmente sulle caratteristiche fisiche di immediata percezione.
Fig.2 – Inquadramento della tipologia ‘violenza politica di individui e gruppi contro i civili’.

Va qui specificato a riguardo dell’ultimo punto che i risultati ottenuti anche dalla scienza in campo genetico hanno confermato l’infondatezza di teorie basate sulla ripartizione in razze della specie umana. Inoltre, nelle trattazioni giuridiche internazionali già dalla metà del ‘900 il concetto di razza è stato sostituito da quello di gruppo etnico, eliminando anche a livello di dichiarazioni delle Nazioni Unite qualsiasi discriminazione basata sul concetto di razza [4]. In ogni caso, per le finalità estremamente pragmatiche della trattazione in corso, alla luce della storia e dei conflitti anche oggi in atto, si è preferito mantenere nella classificazione proposta l’accento sul concetto prevalente che genera la contrapposizione violenta, riferendosi al concetto di etnia per le caratteristiche del linguaggio e della cultura, al concetto di razza per quello delle caratteristiche fisiche esterne immediatamente percepite e al concetto di religione per quello delle diverse fedi esistenti.

La violenza politica di individui e gruppi organizzati contro lo Stato

In questa tipologia di violenza politica, che si scatena da parte di organizzazioni di individui contro uno Stato, si inserisce in modo centrale il concetto di terrorismo, così come definito e inteso nelle principali scuole di pensiero giuridico [3]. Una definizione di terrorismo può essere espressa, alla luce delle riflessioni svolte dall’autore in [1], come:

l’uso o la minaccia dell’uso della violenza e di comportamenti illegali – contro i civili, i beni, le infrastrutture critiche/servizi essenziali e le istituzioni di uno Stato – attuato da individui o gruppi di individui che agiscono in clandestinità nel tentativo di impaurire la popolazione e di condizionare le scelte di governi e istituzioni per il raggiungimento di obiettivi politici, religiosi o ideologici.

Oltre al concetto di terrorismo, in questa tipologia di violenza politica si possono annoverare anche altri importanti concetti (vedi fig.3) quali:

  • la ribellione intesa come rivolta-sommossa, indicando con essa delle azioni violente di disturbo condotte tipicamente da gruppi di individui che deliberatamente danneggiano beni e proprietà private per manifestare la loro protesta contro presunte ingiustizie di natura politica e sociale;
  • la rivoluzione, intesa come il tentativo di gruppi organizzati da una parte della popolazione che, con finalità eversive (nei prossimi paragrafi il concetto di eversione verrà analizzato nel dettaglio), operano in una strategia di delegittimazione e di ricatto delle istituzioni e del governo, attraverso attentati e rapimenti ‘mirati’ con alto valore simbolico, contestazioni e disordini diffusi, fino alla sommossa finale a cui immaginano di poter condurre una parte maggioritaria della popolazione per il raggiungimento del controllo del potere sul territorio dello Stato;
  • la guerriglia, indicando con essa delle azioni violente condotte da organizzazioni locali di stampo paramilitare contro le forze armate dello Stato che governa il territorio. La guerriglia ha tipicamente finalità eversive ed è normalmente condotta dalla popolazione locale con finanziamenti e armamenti provenienti da uno o più Stati esteri, Stati che coltivano interessi politico-economici sul territorio dove si svolge il conflitto;
  • la guerra civile, indicando con essa un conflitto armato di rilevanti proporzioni, nel quale le parti contrapposte sono sostanzialmente costituite da individui appartenenti alla stessa popolazione e allo stesso Stato. Lo scopo della guerra civile è prevalere sull’avversario per stabilire un nuovo ordine politico nello Stato;
  • il colpo di Stato, indicando con esso un’azione, condotta in modo autonomo da uno degli apparati dello stesso Stato – ad esempio le Forze Armate -, volta a modificare l’ordinamento politico esistente dei pubblici poteri. Il colpo di stato costituisce una tipica forma di eversione;
  • la strategia della tensione (da apparati deviati), indicando con essa l’incoraggiamento e il supporto, pur se in modo segreto, da parte di apparati ‘deviati’ dello stesso Stato di azioni violente svolte da gruppi terroristici contro i civili, i beni pubblici e i rappresentati di vertice dello stesso Stato (esempio: attentati in luoghi simbolici, omicidi indiscriminati di civili o mirati di figure istituzionali, distruzione deliberata di simboli culturali o infrastrutture), al fine di incolpare gruppi politici o frange estremiste in realtà estranee agli accadimenti e creare uno stato di tensione e paura nella popolazione per imporre, con il consenso sostanziale della maggioranza della popolazione stessa, una svolta di tipo reazionario ed autoritario alla politica espressa dal Governo e all’organizzazione dello Stato. Anche la strategia della tensione da apparati deviati costituisce una forma di eversione. Va evidenziato che la strategia della tensione può collocarsi anche nella tipologia di violenza politica successiva (violenza politica dello Stato contro i civili) se ad attuarla sono i vertici istituzionali dello Stato, come argomentato nel seguito.
Fig.3 – Inquadramento della tipologia ‘violenza politica di individui e gruppi contro lo Stato’.

La violenza politica dello Stato contro i civili

Questa tipologia di violenza politica è posta in essere dallo Stato stesso sulla popolazione governata. Si esprime in forme diverse (vedi fig.4) che sono di solito indicate come:

  • il genocidio, indicando con esso la distruzione deliberata e sistematica di tutta o di una parte della popolazione appartenete ad una determinata etnia, razza e credo religioso;
  • la tortura, indicando con essa l’atto di infliggere severe pene di natura fisica e/o psicologica con lo scopo di punire, vendicare, raccogliere informazioni o semplicemente agire in modo violento per indebolire la determinazione e la fermezza di uno o più individui accumunati da caratteristiche di natura politica, etnica, razziale e religiosa;
  • le azioni brutali delle forze dell’ordine (polizia o forze di sicurezza in generale), indicando con esse l’attività determinata per volontà di uno Stato di infrangere deliberatamente i diritti civili riconosciuti a livello internazionale, consentendo alle forze dell’ordine e della sicurezza lo svolgimento di azioni violente o la minaccia di tali azioni sui civili, al fine di arrivare ad uno stretto controllo dei comportamenti della popolazione stessa;
  • la strategia della tensione (di vertice), indicando con essa l’incoraggiamento e il supporto, pur se in modo segreto, da parte dei vertici dello stesso Stato ad azioni violente svolte da gruppi terroristici contro i civili, i beni pubblici e i rappresentati istituzionali avversari (esempio: attentati in luoghi simbolici, omicidi indiscriminati di civili o mirati di figure politiche, distruzione deliberata di simboli culturali o infrastrutture), al fine di incolpare gruppi politici o frange estremiste in realtà estranee agli accadimenti e creare uno stato di tensione e paura per acquisire, con il sostanziale consenso della popolazione, maggiore concentrazione di potere al vertice dello Stato. Anche la strategia della tensione di vertice costituisce una forma di eversione.
Fig.4 – Inquadramento della tipologia ‘violenza politica dello Stato contro i civili’.

La violenza politica tra Stati

In questa quarta tipologia di violenza politica si inseriscono (vedi fig.5) i concetti di:

  • terrorismo di stampo statale, inteso come l’azione clandestina svolta dai Servizi di Intelligence esterni di uno Stato che opera su uno territorio estero, governato da una diversa autorità politica, al fine di condizionare le scelte e le azioni del governo locale e/o con finalità eversive;
  • sostegno alla guerriglia, con armamenti, finanziamenti e supporti statali a gruppi paramilitari di altri Stati che attuano sui loro territori questa modalità operativa con finalità eversive (vedi nei paragrafi precedenti per il concetto di guerriglia);
  • sostegno alla strategia della tensione, con armamenti, finanziamenti e supporti statali a gruppi terroristici di altri Stati o ad apparati di uno Stato estero che attuano questa modalità operativa contro la popolazione locale, con finalità eversive (vedi nei paragrafi precedenti per il concetto di strategia della tensione);
  • guerra tra Stati, intesa come l’uso delle forze militari di Stati contrapposti in un conflitto bellico.
Fig.5 – Inquadramento della tipologia ‘violenza politica tra Stati’.

L’eversione

Nella trattazione precedente è ricorso sovente il termine eversione: questo termine si presenta trasversalmente in diversi punti fondamentali dell’inquadramento.

Il dizionario Treccani definisce l’eversione come ‘rovesciamento, sconvolgimento del potere costituito anche attraverso atti rivoluzionari o terroristici’, con la radice del termine derivante dal verbo latino everto (evertere) che vuol dire rovesciare, distruggere, sovvertire.

Altrettanto incisivi, in riferimento al tema della violenza politica, si mostrano per il significato di eversione due vocabolari di lingua inglese:

  • per il Cambridge English Dictionary la definizione è la seguente ‘Subversion the act of trying to destroy or damage an established system or government’ (eversione è l’azione di cercare di distruggere o procurare danno a un sistema costituito o Governo);
  • per il Merriam Webster Dictionary l’eversione è ‘a systematic attempt to overthrow or undermine a government or political system by persons working secretly from within’ (un sistematico tentativo di rovesciare o indebolire un Governo o un sistema politico da parte di persone che operano in modo segreto dall’interno).

Nell’ambito di istituzioni internazionali, il concetto di eversione viene definito in modo più specifico. Per esempio, in ambito NATO l’eversione è definita [5] come una ‘action designed to weaken the military, economic or political strength of a nation by undermining the morale, loyalty or reliability of its citizens’ (un’azione progettata per indebolire la forza politica, economica o militare di una nazione attraverso l’indebolimento del morale, dell’attaccamento e della credibilità dei suoi cittadini). Ancora più specifica, per alcuni aspetti, la definizione assunta dal DoD (Department of Defence) USA in cui l’eversione è descritta [6] come ‘actions designed to undermine the military, economic, psychological, or political strength or morale of a governing authority‘ (azioni progettate per indebolire il Governo in ambito militare, economico, psicologico, o nella forza politica e nel morale).

L’eversione di un Governo e, più in generale, la presa del controllo di uno Stato costituiscono, per molti dei termini discussi in precedenza, gli scopi finali fondamentali che giustificano il ricorso alla violenza politica.

Nel dettaglio, possiamo affermare che, ad una prima analisi, si pongono finalità eversive:

  1. il terrorismo;
  2. la rivoluzione;
  3. la guerriglia;
  4. il sostegno di Stati esterni alla guerriglia;
  5. il colpo di Stato;
  6. la strategia della tensione (da apparati deviati o statale);
  7. il sostegno di Stati esterni alla strategia della tensione;
  8. la guerra civile.

Questo elenco mostra il legame che, attraverso la comune finalità eversiva, si può evidenziare per molti dei concetti analizzati in questo articolo, tutti a loro volta riconducibili al più generico concetto di violenza politica.

Considerazioni conclusive

Fatti di cronaca legati ai concetti di terrorismo, violenza politica ed eversione riempiono, purtroppo, quasi quotidianamente i giornali e i media di informazione. In questo articolo si è illustrato un sintetico inquadramento di questi concetti con lo scopo di fornire ausilio a chi affronta nella sua attività professionale aspetti legati a queste tematiche. L’inquadramento qui presentato, in particolare per il più ampio concetto della violenza politica, pur non avendo l’ambizione di essere totalmente esaustivorigidamente rigoroso, fornisce una comprensione sistemica e logica delle terminologie adottate, riassunta graficamente nella fig.6.

Fig.6 – Inquadramento di dettaglio delle diverse tipologie di violenza politica trattate nell’articolo.

Bibliografia e sitografia

[1]  Carbonelli, M., 2018, ‘Terrorismo: dalle definizioni internazionali alle condotte di reato’, Safety & Security Magazine, https://www.safetysecuritymagazine.com/articoli/terrorismo-dalle-definizioni-internazionali-alle-condotte-di-reato/

[2]  Schmid, A. P, 2011, ‘The Routledge Handbook of Terrorism Research’, Chapter 3 “Typologies of terrorism and political violence”, RL Taylor & Francis Group, London New York

[3]  Matusitz, J., 2012, ‘Terrorism and Communication: A Critical Introduction’, Editor: SAGE Publications, Inc.

[4]  Conferenza Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali, Parigi, 1978, http://www.uniroma2.it/didattica/ped_int/deposito/DICH_RAZZA_PREGIUDIZI_RAZZI.doc

[5]  NATO “NATO Glossary of Terms and Definitions’, AAP-06, ed. 2014, http://wcnjk.wp.mil.pl/plik/file/N_20130808_AAP6EN.pdf

[6]  US Department of Defence – DoD, 2017, ‘DOD Dictionary of Military and Associated Terms’ http://www.jcs.mil/Portals/36/Documents/Doctrine/pubs/dictionary.pdf , (p.221)

[7]  Della Porta, D., 1995, ‘Social Movements, Political Violence, and the State: A Comparative Analysis of Italy and Germany’, Cambridge University Press, pp.2-5.

A cura di: Marco Carbonelli

Profilo Autore

Marco Carbonelli si è laureato in Ingegneria elettronica presso l’Università di Roma ‘La Sapienza’, diplomato presso la Scuola Superiore di Specializzazione post-laurea in TLC del Ministero delle Comunicazioni, è in possesso del PhD in Industrial Engineering e del titolo di Master internazionale di II livello (Università di Roma Tor Vergata) in ‘Protection against CBRNe events’. E’, inoltre, qualificato esperto NBC presso la Scuola Interforze NBC di Rieti, esperto di Risk Management, ICT security, protezione delle infrastrutture critiche, gestione delle crisi e delle emergenze di protezione civile, applicazione del GDPR nell’ambito della protezione dei dati personali. Ha svolto per venti anni l’attività di ricercatore nel settore delle TLC e poi dell’ICT, opera dal 2006 nella Pubblica Amministrazione centrale. Ha pubblicato oltre 180 articoli tecnici in ambito nazionale e internazionale, è autore di vari libri tecnico-scientifici ed è docente presso l’Università di Tor Vergata di Roma nei Master Internazionali di I e II livello ‘Protection against CBRNe events’ di Ingegneria Industriale e nel Master ‘AntiCorruzione’ del Dipartimento di Economia e Finanza.

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