Storia delle armi: da Alessandro Magno all’Età Moderna

Segue dalla prima parte

Toccò ad Alessandro Magno rivoluzionare gli eserciti, le armi e le tattiche della Grecia classica. Le innovazioni attuate da Alessandro trassero la loro origine dall’esperienza militare dei Persiani. Molti ufficiali e soldati greci avevano prestato servizio come mercenari nell’esercito persiano. Una volta consolidato il proprio potere, nel 336 a.C., Alessandro introdusse diverse soluzioni adottate dai Persiani, perfezionandole a sua volta.

Tra i contributi originali di Alessandro, i principali furono:

a) lo sviluppo di una forza militare realmente integrata, composta da fanteria (pesante e leggera) e cavalleria (pesante e leggera);
b) l’introduzione della balestra e della catapulta (quest’arma rivoluzionò l’arte dell’assedio);
c) la fondazione di accademie militari per l’addestramento degli ufficiali;
d) l’elaborazione di un sistema logistico perfezionato;
e) l’adozione di stivaletti al posto dei sandali, un’innovazione che accrebbe notevolmente la mobilità dell’esercito.

Alessandro ideò quella che sarebbe passata alla storia come ‘la falange macedone’, una formazione di fanteria costituita da otto file di sedici uomini ciascuna. La falange era dotata di una nuova arma, la sarissa, un giavellotto composto di due parti, lungo più di 6 metri. Le prime cinque file della falange puntavano la sarissa in avanti, fornendo una protezione ampia e profonda contro gli attacchi della fanteria e della cavalleria avversarie. Il soldato aveva in dotazione anche il kopis, una spada a doppio taglio. Dal momento che la sarissa poteva essere divisa in due parti, entrambe provviste di punta, la si poteva usare anche nel combattimento corpo a corpo. La cavalleria pesante istituita da Alessandro era equipaggiata con un giavellotto corto (circa 2 metri), molto maneggevole. Sia la fanteria sia la cavalleria erano fiancheggiate da reparti di frombolieri e di arcieri. L’aggiunta di due nuove armi, la balestra e la catapulta, aumentò la potenza di tiro dell’esercito di Alessandro. Nella sua versione primitiva la balestra scagliava una freccia a circa 250 metri di distanza. Anche i Persiani avevano in dotazione le catapulte, per quanto piccole e rudimentali; Alessandro le perfezionò: le nuove catapulte potevano scagliare pietre di 25 kg a oltre 300 metri di distanza.

Fino all’invenzione della polvere da sparo, la catapulta di Alessandro rimase l’arma più efficace per distruggere le mura di cinta delle città assediate. I progressi impressi all’arte della guerra da Alessandro non furono più eguagliati fino all’epoca di Napoleone. I suoi apparati logistici assistevano eserciti più numerosi di quelli di Napoleone, per distanze più lunghe e fornendo approvvigionamenti migliori. Le catapulte greche potevano lanciare proiettili più grandi e a distanze maggiori di quanto non facessero i cannoni usati da Wellington nella battaglia di Waterloo. I frombolieri e gli arcieri di Alessandro potevano colpire bersagli posti a distanze dieci volte superiori rispetto alla gittata dei moschetti a canna licia in dotazione ai soldati napoleonici e gli scudi dei suoi uomini avrebbero fornito, contro il fuoco dei fucili, una protezione migliore di quella offerta dall’equipaggiamento dei combattenti di Waterloo. Fino alla guerra civile americana la gittata dei fucili non avrebbe raggiunto quella dell’arco e soltanto con la prima guerra mondiale la precisione del fucile, sulla lunga distanza, eguagliò quella dell’arco greco.

I Romani apportarono un contributo piuttosto modesto alla tecnologia delle armi; il loro genio militare si espresse piuttosto nell’organizzazione dell’esercito e, in particolare, nella capacità di mettere in campo, anche per lunghi periodi, una disciplinata forza di fanteria pesante. Le armi in dotazione all’esercito romano erano sostanzialmente quelle greche, leggermente perfezionate. Il pilus, per esempio, non era che il giavellotto corto greco, con una punta di bronzo o di ferro e un uncino all’altra estremità. Anche la famosa spada corta dei Romani, il gladius hispaniensis, non era un’invenzione romana, ma delle tribù spagnole, mentre il celebre elmo romano – il montefortino – era stato in realtà inventato dai Celti. Allo stivale greco, che aveva reso più spedita la marcia della  fanteria, i Romani aggiunsero la suola chiodata, che assicurava una durata e una presa sul terreno maggiori. Benché i Romani non siano mai stati né bravi marinai né abili costruttori di navi, è proprio nel settore della guerra navale che introdussero due innovazioni originali. In occasione delle guerre puniche dovettero allestire una flotta e, non disponendo di un’industria navale propria, copiarono la trireme cartaginese. Poiché il loro punto di forza era pur sempre la fanteria, essi idearono il corulus, o ‘corvo’, una tavola girevole da abbordaggio, che permetteva ai fanti di assalire la nave nemica dopo che questa era stata agganciata mediante un’altra invenzione romana: il rampino di arrembaggio.

Non appena ebbe raggiunto il predominio assoluto sul Mediterraneo, nel I secolo a.C., Roma smantellò quasi totalmente la propria flotta militare. Il lungo periodo della loro dominazione sull’Europa e sulle coste del Mediterraneo consentì ai Romani di mettere a punto due strumenti bellici veramente originali: accurate mappe militari e ottime strade. I Romani idearono la marcia al passo proprio per poter piazzare rapidamente le proprie truppe, che potevano spostarsi alla “velocità di Cesare” (25 miglia al giorno) su una rete stradale militare che si diramava ovunque. Le mappe romane erano così accurate che furono usate fino al Medioevo. I criteri strategici adottati dai Romani rimasero validi per oltre cinquecento anni e la loro perizia militare rappresentò il culmine dei progressi tecnologici e tattici che si erano succeduti nel corso di  quasi ottomila anni.

Con la distruzione dell’Impero – nel V secolo d.C. – e con la frammentazione politica, economica e sociale che seguì alle ripetute invasioni barbariche, quasi tutte le conquiste della tecnologia militare di Roma e dei suoi predecessori andarono perdute per la civiltà occidentale, sostituite dal primitivo modo di combattere dei popoli barbari, consistente principalmente in caotiche zuffe tra uomini a cavallo.
La tecnica di combattimento dei barbari decretò l’assoluta preminenza della cavalleria e condusse direttamente alla comparsa del cavaliere medievale, che divenne il protagonista delle battaglie, mentre la fanteria scomparve quasi del tutto.

Nel Medioevo apparvero nuove armi: la francesca, inventata dai Franchi, era una scure a manico corto e a un taglio, perfettamente bilanciata per poter essere lanciata. La francesca ebbe larga diffusione presso gli eserciti feudali; da essa si svilupparono poi l’alabarda, a doppia  lama, e l’ascia ricurva a lama tripla, il terribile “martello di Lucerna”, armi rese entrambe famose dalla fanteria svizzera nel XIV secolo.
L’invenzione più importante di questo periodo, nel settore delle armi, fu quella della polvere da sparo, introdotta in Europa nel XIII secolo. La prima arma da fuoco fu il mortaio da assedio, impiegato per demolire le mura dei castelli. Sembra che la polvere da sparo sia stata inventata dai Cinesi e i mortai da assedio (i primi, risalenti al 1302, erano di bronzo) dai Mongoli; comunque fu l’assedio di Costantinopoli ad opera dei Saraceni (1453) che evidenziò il potere distruttivo dell’artiglieria usata contro le mura delle città. Da allora la tecnica fu rapidamente imitata da tutti gli eserciti feudali.

Il cavaliere, tuttavia, rimase il re della battaglia. Per opporsi efficacemente all’attacco dei cavalieri si potevano adottare due tattiche: o contrapporre loro una forza capace di resistere allo scontro diretto, o cercare di abbatterli a distanza con un nutrito lancio di frecce. Nella battaglia di Paupen (1339) gli Svizzeri annientarono un intero corpo di cavalleria semplicemente reinventando la falange macedone e armandosi di picche lunghe più di 5 metri, simili alla sarissa. La falange svizzera infranse l’urto dell’attacco portato dalla cavalleria. Armati di alabarde e di scuri, i fanti si sbarazzarono in breve tempo dei cavalieri tagliando le zampe dei loro cavalli e assalendoli immediatamente dopo averli disarcionati, per approfittare dell’impaccio loro recato dalle pesanti armature.

A Crécy, nel 1346, gli Inglesi adottarono la seconda delle due tattiche menzionate, distruggendo da lontano uno squadrone di cavalieri francesi con nugoli di frecce dalla punta di metallo, scagliate con archi a lunga gittata. In entrambi i casi le soluzioni adottate non furono altro che riedizioni delle antiche, e a lungo dimenticate, tecniche già impiegate da Alessandro e dai Romani per sconfiggere la cavalleria pesante. Tra il XV e il XVI secolo la polvere da sparo trasformò lo scenario della guerra. La comparsa del moschettiere – precursore del moderno fuciliere – e del suo moschetto ad acciarino rese possibile l’annientamento a distanza di intere formazioni di fanteria disposte a ranghi serrati, prima che queste potessero entrare a diretto contatto col nemico.

Il mortaio da assedio cominciò a essere rimpiazzato col cannone da campo a canna liscia, che svolgeva le funzioni di un’autentica artiglieria campale, in quanto colpiva la fanteria avversaria prima che questa potesse ingaggiare un combattimento corpo a corpo. Naturalmente queste armi erano anche in grado di distruggere con estrema facilità formazioni di cavalleria pesante.

Sotto l’incalzare della tecnologia, l’arte della guerra subì una trasformazione di portata rivoluzionaria: iniziava l’era delle armi moderne.

 

Articolo a cura di Emanuele Michelangelo Fusco

Profilo Autore

Mi occupo di Sport, arti marziali, Formazione in ambito sportivo, sicurezza e Military.
Sono un formatore per il settore security e close protection certificato e riconosciuto in ambito internazionale, Maestro di arti marziali e istruttore di difesa operativa.
Esperto in Informatica, Docente ITP e Assistente Tecnico di Laboratorio presso le scuole statali nella provincia di napoli, Consulente e Investigatore privato in ambito penale e civile. Giudice popolare presso la Corte di Assise di Aversa (Ce) e presso la Corte di Appello di Assise di Aversa (Ce), RPO - Responsabile per la Protezione dei Dati.

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