Operatore di sicurezza: nessuna tutela per chi deve tutelare

In questo articolo voglio affrontare il, purtroppo, “triste nodo” della sicurezza privata nel nostro Paese, cercando di essere per quanto possibile mirato e sintetico. Come la maggior parte dei lettori saprà, la regolamentazione di tale mansione in Italia lascia molto a desiderare, a causa dell’assenza di una legge “seria” che stabilisca le giuste direttive, con una partecipazione delle istituzioni sia nella formazione degli operatori che sull’attendibilità delle agenzie – ad oggi spesso “improvvisate” – e di chi commissiona i servizi di sicurezza.

Ma procediamo con ordine.

In assenza di un’organica disciplina di legge, ove si riconosca la figura giuridica dell’operatore di sicurezza – vuoi come bodyguard, ex buttafuori, GPG o qualsivoglia figura della sicurezza, dalle nuove fantasiose diciture, al “famoso” ex decreto Maroni che obbliga l’operatore a richiedere ed ottenere a sue spese il famoso numero prefettizio – né la categoria di per sé, né chi assume chi ne fa parte, saranno mai realmente tutelati. Sentiamo quotidianamente dire che bisogna uniformarsi all’Europa: mi chiedo, allora, perché l’Italia non si allinei uniformando la normativa in tema di sicurezza agli altri Stati membri. Qui entriamo in un gorgo vorticoso e ingarbugliato da cui è impossibile uscire o, meglio, manca la volontà di farlo; esistono gruppi di operatori che costituiscono “sindacati” di categoria, atti solo a incassare soldi attraverso le adesioni ma che, in realtà, non hanno alcun potere di contrattazione con chicchessia, vista appunto la mancanza di una vera e propria legge in materia.

Parliamo ora della formazione, altra nota dolente.
Pochi, pochissimi operatori della sicurezza hanno una formazione militare o simile; non conoscono la giurisprudenza che li riguarda, se non quanto sentito di riflesso, non hanno una formazione sportiva e fisica per questo tipo di servizi, non fanno prevenzione ma si affidano al caso; peraltro, cosa grave visto il momento storico, non conoscono una lingua straniera e non sanno come affrontare una situazione di emergenza sanitaria… ergo, la “formazione” di tali soggetti dov’è? La risposta è semplice: è nei quasi 500 euro di esborso richiesti per acquisire una poco utile certificazione (in base all’ex decreto Maroni), conseguita a fronte dell’erogazione di scarne nozioni generali, nata per escludere gli indesiderati ma che – di fatto – si è limitata a certificarli. Agenzie e società che operano in questo settore hanno, poi, l’obbligo di richiedere alla prefettura d’appartenenza il numero prefettizio[1] per ogni operatore ingaggiato, mentre quest’ultimo, pur avendo fatto un corso riconosciuto, costoso e spesso inutile, non può avere in autonomia il tanto decantato numero per accedere a un’attività lavorativa peraltro sottopagata, priva di regolamentazione e che espone gli operatori ad altri problemi che dovranno affrontare da soli, senza alcuna tutela da parte di chi li ha assunti. Attenzione: i tempi delle prefetture, per il rilascio del numero prefettizio, variano dai pochi giorni (nei centri più piccoli) ad anche due anni, per quella di Roma. In verità sono anni che si prova a dare una sorta di regola per questo mondo oscuro che è la sicurezza privata, ma il risultato è sempre lo stesso: niente!

Questo articolo non vuole essere una lamentela sterile, ma un monito per sensibilizzare i lettori e gli addetti ai lavori; tant’è che, con altri colleghi e professionisti di vari settori, stiamo predisponendo un disegno di legge da sottoporre ad esponenti del governo, con la speranza di un iter veloce e che vada a buon fine.

Parliamo infine del trattamento economico di questo lavoro, che è veramente esiguo per l’operatore. Naturalmente le agenzie devono avere il loro introito, anche per le innumerevoli spese che sono costrette a sostenere, ma pagare un operatore 5€ l’ora rasenta la schiavitù. A questo punto, direte voi: “Ma questa è la legge di mercato?!” No: è speculazione… ma questa è un’altra storia. Facciamo due conti e confrontiamo l’attività di un operatore che, per guadagnare 50€, deve lavorare almeno 10 ore, con tutti i rischi del caso. Se parliamo di discoteche o locali di vario genere, chiediamoci se dopo 10 ore di lavoro tra musica alta, gente ubriaca, confusione di ogni genere, mascherina che toglie il fiato (in questo periodo), una persona possa essere ancora reattiva, quando il massimo orario consentito – e chi ha svolto servizi operativi lo sa – per garantire una buona dose di riflessi e reattività d’intervento, è di 6 ore.
Chiaro è che, essendo il guadagno esiguo, più ore si fanno più si guadagna; ma questo va a discapito dell’efficienza e della professionalità. Da qui, l’accozzaglia di operatori non adatti sui luoghi di lavoro. Inutile dire che la costituzione di un albo di veri professionisti spazzerebbe via tanta inutilità e approssimazione, darebbe vita a nuovi introiti, creerebbe nuovi indotti a cui le istituzioni potrebbero agganciarsi foraggiando anche le proprie risorse.

Ci tengo a precisare che quello che ho scritto debba valere per tutti: a mio avviso è rischioso far lavorare, in un settore così delicato, chi non conosce nulla del nostro Paese – neanche la lingua – solo per la sua prestanza fisica o per la “voglia” d’integrazione. Le istituzioni possono certamente offire delle opportunità, anche tramite agevolazioni economiche; ma non trovo giusto che si equipari, nel medesimo lavoro, chi ha pagato la certificazione imposta dal decreto e chi no. Se tutto questo venisse seriamente regolamentato sarebbero previsti corsi di formazione periodici, riconosciuti dalle istituzioni, con prove fisiche, di giurisprudenza, diritto del lavoro, corsi di lingue, ecc.; in questo modo si escluderebbero le persone non adatte, con precedenti penali, con scarsa attitudine e fisicità e si aprirebbero, d’altra parte, nuovi scenari e nuovi posti di lavoro.

Per concludere – ma ci sarebbe ancora moltissimo da scrivere – per esperienza personale, quando dai contratti si deve escludere una voce per evitare lo sforamento del budget, quella voce è quasi sempre la sicurezza. Questo avviene perchè si sottovaluta, per ignoranza, la questione in oggetto, non considerando che quando un evento si svolge e si conclude per il meglio, ciò è merito di un buon lavoro di prevenzione (senza il quale chissà cosa sarebbe potuto accadere) svolto proprio da chi ha garantito la sicurezza.

Chiudo ringraziando chi ha avuto la pazienza di leggere questo mio primo articolo e auguro a tutti gli operatori della sicurezza che hanno subito l’arresto forzoso dell’attività, causa Covid-19, di tornare al più presto – per quanto possibile – a lavorare come e più di prima.

 

Note

[1] Il numero prefettizio è l’iscrizione del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo in luoghi aperti al publico o in pubblici esercizi nell’elenco prefettizio di cui al D.M. 06/10/2009 e ss.mm.ii.
Può essere richiesto da:

  • titolari di istituti autorizzati
  • ex 134 del T.U.L.L.P.S.

 

Articolo a cura di Andrea Tiraferri

Profilo Autore

Safety Security Manager

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