Nuove applicazioni strategiche dei gas nervini: da armi di distruzione di massa a single target

Negli ultimi dodici mesi la stampa ha dato particolare risalto a due avvenimenti che hanno avuto per protagonisti i gas nervini, nella fattispecie l’omicidio all’aeroporto di Kuala Lumpur di Kim Jong-Nam, quarantacinquenne fratellastro dell’attuale Presidente della Corea del Nord, e l’avvelenamento dell’ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia Yulia a Salisbury, nel Regno Unito. Storicamente impiegato come arma di distruzione di massa, il gas nervino vede il suo attuale impiego per operazioni sempre più “single target”, la cui portata a livello internazionale risulta essere, comunque, strategica e non meramente tattica; la capacità di colpire un singolo individuo all’interno di luoghi particolarmente controllati come ad esempio un aeroporto internazionale, piuttosto che un pacifico villaggio immerso nella quiete della campagna inglese, ha come scopo secondario quello di dimostrare che non è possibile sentirsi sicuri in alcun luogo, gettando così discredito sulle capacità di prevenzione e contrasto delle istituzioni deputate a svolgere il ruolo di garanti della sicurezza pubblica.

La produzione di gas nervini richiede, oltre a degli adeguati laboratori opportunamente attrezzati e dei ricercatori debitamente formati, trattamenti chimici sensibilmente sofisticati; devono infatti essere poste in essere numerose accortezze riguardanti procedure quali la verifica delle temperatura di produzione, il contenimento delle sostanze tossiche e dei gas, nonché la salvaguardia dalla corrosione cui sono soggetti i recipienti in cui le sostanze vengono immagazzinate.

A seconda dell’immediatezza d’uso, ci si scontra con il limite strutturale della purezza del prodotto che, per evitare la corrosione delle apparecchiature ma anche il rapido deterioramento del prodotto stesso, richiede l’uso di materiali dedicati. Meno raffinato è il composto, più rapidamente esso tenderà a deteriorarsi perdendo le sue caratteristiche; pertanto, nell’ipotesi in cui non fosse possibile ottenere la purezza desiderata, l’agente dovrà essere utilizzato in tempistiche quanto mai ristrette.

Come è facile intuire, l’impiego dei gas nervini non risulta esser compatibile con le risorse finanziarie e logistiche di organizzazioni criminali e terroristiche isolate ancorché ben finanziate, ma presuppone implicitamente lo studio e lo sviluppo da parte di strutture statali; è altrettanto immediato notare come tale ipotesi vada nettamente in contrasto con la CWC, ovvero la “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione” siglata a Parigi il 13 gennaio 1993, la quale colloca i nervini in base alla loro composizione chimica nella Tabella 1 in quanto presentano una tossicità totale da essere impiegati come arma chimica di distruzione di massa.

I nervini fecero la loro prima comparsa negli anni ’30 in Germania, sviluppati dal chimico tedesco Gerhard Schrader, nell’ambito di una ricerca in materia di antiparassitari; tuttavia, in considerazione della loro elevata tossicità riscontrata in laboratorio, non vennero impiegati dai tedeschi durante il secondo conflitto mondiale pur avendo maturato il sospetto che anche gli inglesi disponessero di simili sostanze. Alla fine della guerra gli agenti G, noti anche come gas nervini (TABUN, SARIN, SOMAN), vennero studiati con vivo interesse dagli scienziati militari di entrambi gli schieramenti, i quali cercarono di ottimizzarne il potenziale distruttivo anche tramite una serie di adattamenti alle munizioni da impiegare per veicolarli, come ad esempio razzi, cluster bombs, proiettili e cisterne spray.  Spesso, nella costruzione del munizionamento, vennero impiegati materiali innovativi quali ad esempio i composti polimerici, che assicurano al gas nervino allo stato liquido la formazione di gocce di grandi dimensioni impedendone così l’evaporazione prima del contatto con il suolo.

Successivamente, tra gli anni ’50 e gli anni ‘70, gli scienziati del Regno Unito e dell’URSS scoprirono un’altra categoria di agenti nervini, gli agenti cosiddetti V; questi ultimi, caratterizzati da una maggior persistenza e altamente offensivi anche per via cutanea, presentano indici di letalità notevolmente più elevati. La ricerca di sempre più efficaci armi chimiche offensive portò infine alla sintetizzazione di composti binari conosciuti anche come agenti nervini di terza generazione o Novichok i quali, utilizzando precursori relativamente innocui, assicurano una maggior stabilità e sono di più agevole conservazione.

Negli anni ’90, con la sottoscrizione della CWC, gli Stati si impegnarono a non sviluppare ulteriormente i loro programmi offensivi chimici e a smantellare contestualmente gli arsenali di armi chimiche in loro possesso; tali armi sono sempre state considerate armi tattiche di deterrenza reciproca tra le Nazioni e il loro impiego non bellico, quindi non convenzionale, è rimasto circoscritto a pochi episodi tra cui quelli dell’ultimo anno. Particolare clamore mediatico suscitò nel 1995 la setta giapponese di Aum Shinrikyo, la quale sprigionò dell’agente Sarin all’interno della metropolitana di Tokyo uccidendo una dozzina di persone e ferendone cinquemila circa.

I nervini, a temperatura ambiente, si presentano prevalentemente allo stato liquido (agenti G e V) o più raramente allo stato solido come polveri (armi binarie e Novichok). L’organismo viene aggredito dalla penetrazione dei nervini attraverso l’apparato respiratorio tramite inalazione oppure attraverso l’assorbimento cutaneo coinvolgendo le mucose (labbra e naso), la cute (ferite, abrasione, etc.) e gli occhi (mucosa congiuntivale e cornea).

Tra i gas nervini, quelli non persistenti ossia quelli che tendono ad evaporare più rapidamente sono il Sarin, il Tabun e il Soman, mentre i VX e i nervini di terza generazione risultano essere decisamente persistenti, garantendo in tal maniera una prolungata presenza nell’ambiente in cui vengono rilasciati. L’elevata densità rispetto al peso specifico dell’aria comporta che la loro stratificazione avvenga ad altezza d’uomo e verso il basso, amplificando così la possibilità che il personale intervenuto senza adeguate protezioni per soccorrere le vittime di un attacco si trovi nella situazione di dover operare nella zona dove maggiormente si concentra l’aggressivo.

COME FUNZIONANO E COME CI SI DIFENDE DAI NERVINI

I gas nervini sono degli agenti chimici organici fosforati che svolgono la loro funzione letale agendo su una molecola enzimatica necessaria per il corretto svolgimento delle funzioni del sistema nervoso centrale. La loro somiglianza strutturale con l’acetilcolina rende possibile la formazione di un legame delle molecole di gas nervino al sito attivo dell’acetilcolinesterasi in maniera tale che, una volta formatosi il complesso enzima-nervino, non possa più scindersi e che la molecola enzimatica risulti in tal modo definitivamente inattivata. L’inattivazione dell’acetilcolinesterasi, che consegue all’avvelenamento da gas nervini, determina un accumulo di acetilcolina nelle sinapsi del sistema nervoso centrale e periferico nonché a livello delle placche neuromuscolari; la conseguente contrazione involontaria di tutta la muscolatura conduce l’organismo intossicato verso l’arresto sia respiratorio che cardiaco provocandone la morte.

I sintomi percepiti dal soggetto avvelenato sono, nelle prime fasi, una riduzione delle capacità visive con visione oscurata e annebbiata dovuta alla contrazione delle pupille, difficoltà respiratorie con dolori retrosternali, nausea, tachicardia ed aumento della salivazione; solo successivamente si verificano episodi di vomito e perdita del controllo degli sfinteri, convulsioni e tremori, senso di soffocamento ed infine la morte.

Per consentire un’idea degli ordini di grandezza in discussione, la dose letale media (espressa in milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo) del cianuro di sodio è di 3 mg/kg, mentre quella del VX è di circa 0,084 mg/kg, ove tale dose è considerata la quantità di sostanza (nel nostro caso di aggressivo chimico) in grado di provocare la morte al 50% degli individui esposti e non protetti.

Per il personale che si dovesse trovare a fronteggiare uno scenario in cui è stato impiegato del gas nervino, oppure qualora ci fosse consapevolezza dell’imminenza di un simile attacco, è opportuno utilizzare in via preventiva un trattamento farmacologico che contribuisce a limitare le possibilità di danni da gas nervini. Si tratta dell’assunzione di compresse a base di piridostigmina (assunzione che non produce effetti collaterali sull’organismo qualora temporanea e non protratta nel tempo), un carbammato che svolge le stesse funzioni del gas nervino nel quale tuttavia, data la sua formulazione chimica, il principio attivo occupa solo transitoriamente il sito attivo dell’enzima bersaglio del nervino che, trovando in questo modo l’acetilcolinesterasi già occupata dal carbammato, non può legarsi ad essa. A supporto della terapia farmacologica è inoltre necessario indossare la specifica tuta di protezione antitraspirante, una maschera antigas dotata (oltre che del normale filtro contenente carbone attivo) di un ulteriore filtro alcalinizzante, nonché l’autorespiratore per il personale deputato a stazionare ed operare nella zona contaminata.

Nel caso in cui, invece, si avvertano i primi sintomi di avvelenamento da gas nervini, è ancora possibile cercare di salvarsi ricorrendo anche in questo caso ad una terapia farmacologica ma con finalità diverse: l’atropina intramuscolo (fino a tre somministrazioni successive per andare a contrastare gli effetti  del nervino, la tachicardia e la nausea) e l’obidoxima cloruro per via endovenosa (in combinazione con la piridostigmina iniettata nei muscoli dorsali la quale, essendo in grado di attraversare la barriera funzionale emato-encefalica, penetra nel sistema nervoso centrale assicurando un effetto di lunga durata nell’azione di riattivazione dell’enzima acetilcolinesterasi inibito dai nervini).

Inoltre si può ricorrere al diazepam, il quale assicura un’azione miorilassante ed anticonvulsivante, consentendo così al personale avvelenato di ridurre le convulsioni e poter procedere all’eventuale auto-somministrazione dei rimanenti farmaci. Una volta sopravvissuti all’avvelenamento è poi necessario procedere alla propria decontaminazione tramite docce con ipocloriti di sodio e potassio associati ad allumina, nonché al lavaggio di tutti gli indumenti o oggetti che potrebbero essere stati contaminati.

Le numerose difficoltà nella produzione, nello stoccaggio e nella disseminazione di agenti nervini ne rende l’uso per attentati su ampia scala, ad oggi, poco verosimile; inoltre, gli episodi che hanno visto coinvolti ultimamente individui dalla singolare biografia risultano essere difficilmente replicabili. Tuttavia, non è da escludersi in futuro un loro utilizzo soprattutto in ottica di destabilizzazione della sicurezza interna di alcune Nazioni, soprattutto alla luce dell’intensità mediatica raggiungibile attraverso l’impiego strumentale di tali sostanze.

A cura di: Claudia Petrosini e Stefano Scaini

Profilo Autore

La Dott.ssa Claudia Petrosini è specializzata nel settore della Difesa CBRN. Nel 2015 ha conseguito un Master in studi strategici e sicurezza internazionale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e nel novembre 2016, con una tesi dal titolo “Infrastrutture critiche italiane: pervenire ad una mappatura territoriale dei rischi CBRN”, ha conseguito il Master in protezione strategica del sistema Paese presso la SIOI - Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. Nel 2019 ha frequentato, presso l’ICTP - International Centre for Theoretical Physics, la Joint ICTP-IAEA International School on Nuclear Security. E’ coautrice del volume dal titolo "Terrorismo e Soft-target" (EPC Editore – 2020) nonché di numerose e riconosciute pubblicazioni tecnico-scientifiche in campo nazionale.

Profilo Autore

Stefano Scaini opera nei settori Security e Safety dal 1993 fornendo servizi, consulenze e contributi didattici in merito a sicurezza, tecnologie ed applicazioni sia civili che militari, con particolare riferimento agli aspetti dual-use e quanto afferente ai settori Sicurezza, Protezione e Difesa di assets critici. Certificato Professionista della Security di III livello - Senior Security Manager in conformità alla norma UNI 10459:2017, è altresì certificato con merito al livello AMBCI presso The Business Continuity Institute. Certificato P.F.S.O., C.S.E., R.S.P.P., Covid Manager, Tecnico Ambientale e Coordinatore 257/'92, è in possesso dal 1996 dell'idoneità tecnica all’impiego di materiali esplodenti (ai sensi dell’Art. 27 del D.P.R. n°302/'56) ed iscritto al Ruolo dei Periti e degli Esperti della CCIAA di Parma nella Categoria CHIMICA-Esplosivi.

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