In che modo il datore di lavoro di un’azienda divulga ai suoi lavoratori e collaboratori la cultura della sicurezza, i rischi connessi alle tipologie di attività, la gestione delle emergenze etc.? Con la formazione (ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs.81/08) e l’informazione formazione (ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs.81/08). Di fondo, la differenza sta nella verifica dell’apprendimento. Prendiamo come esempio uno scenario molto semplice, qualsiasi contesto o locale in cui sia affisso questo cartello:
Quand’è che il titolare ci chiede se conosciamo il suo significato? È semplice, quando ci vede fumare! Quindi l’informazione (ovvero la cartellonistica) è un richiamo perenne ai contenuti della formazione (in questo caso relativa alla prevenzione incendi o ai rischi per la salute). Mentre però al termine di una sessione formativa, si usa formalizzare la verifica dell’apprendimento mediante un test scritto o una sorta di interrogazione orale dal formatore al discente, la cartellonistica funge da “memorandum” per tutti i lavoratori relativamente ai loro obblighi, alle buone prassi e alle precauzioni da adottare in materia di salute e sicurezza.
Tutto ciò premesso, qual è quindi, di fatto, la vera verifica dell’apprendimento da parte dei lavoratori sui contenuti di una formazione?
Immaginiamo di visitare un luogo di lavoro in cui nessuno prende in considerazione la sicurezza e i presidi di emergenza, facendoci trovare quindi di fronte a scenari di questo tipo: estintore nascosto da tavolino e piante finte, come se fosse un deturpamento paesaggistico, e Uscita di emergenza intasata da materiale vario:
Il titolare iscrive i suoi dipendenti a un corso di formazione sull’importanza dei presidi di emergenza e sulla prevenzione incendi e lotta antincendio. Il giorno successivo al corso i lavoratori si accorgono degli scenari di cui sopra, si rimboccano le maniche, rimuovono gli ostacoli sia davanti agli estintori sia davanti alle uscite di emergenza; è quella la vera verifica dell’apprendimento dei contenuti di un corso! Ovvero il costante mantenimento delle condizioni di sicurezza, nel tempo, da parte di tutti.
Il Datore di Lavoro diventa quindi responsabile del monitoraggio costante del comportamento dei lavoratori relativamente alle direttive riguardanti la salvaguardia della loro salute e incolumità.
Quello di “diligenza del buon padre di famiglia” è concetto antico, che deriva dal diritto romano, ma non per questo le parole sono consunte e hanno perso il loro significato. Diligere vuol dire preferire, usare in modo preferenziale le proprie energie e la propria attenzione, in qualche modo amare il proprio lavoro e la propria azienda. Un medico o un infermiere devono comportarsi verso i pazienti, un insegnante verso gli allievi, con le stesse attenzioni che dedicherebbe ai propri figli. Allo stesso modo, il Datore di Lavoro deve adottare lo stesso comportamento da buon padre di famiglia come se i dipendenti fossero figli suoi (si richiama la Sentenza di Cassazione Penale, Sez. 4, 07 luglio 2016, n. 28250). Partiamo nuovamente da un esempio molto semplice: tutti i bambini sono alla scoperta del modo, e come abbiamo già ampiamente anticipato, sono curiosi e alla continua ricerca di novità. Quindi è più che frequente che un bambino piccolo provi a infilare le dita in una presa di corrente, ignaro del pericolo a cui va incontro.
Cosa dovrà fare, a questo punto, il buon padre di famiglia per evitare che la presenza dello squaletto (la corrente) comporti un rischio (la scossa)?
Di fatto, la posizione del Datore di Lavoro Buon Padre di Famiglia nei confronti dei suoi lavoratori, deve essere sostanzialmente la stessa, ovvero il Datore di Lavoro:
Il D. Lgs. 81/08, all’art. 37 comma 4, prevede inoltre che la formazione venga ripetuta nei seguenti casi:
Il DdL e il RSPP, nel corso delle riunioni periodiche di prevenzione e protezione dai rischi, valuteranno la sussistenza o meno delle condizioni suddette e prevedranno gli eventuali programmi di formazione ed informazione.
A cura di: Anna Ravina
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