I germogli hanno origini preistoriche ma solo da qualche anno sono arrivati sugli scaffali dei supermercati suscitando la curiosità dei consumatori, specialmente di coloro che adottano stili di vita sani e rispettosi della natura. Accanto ai benefici in termini salutistici altrettanto importanti sono i rischi associati al loro consumo, oggetto di valutazione da parte di autorità scientifiche, che hanno portato all’emanazione di norme specifiche di sicurezza per tali prodotti.
I germogli rientrano nella famiglia dei cosiddetti “semi germogliati”, all’interno della quale troviamo, oltre ai germogli propriamente detti (sprouts), i germogli embrionali (micro-green o micro-ortaggi) e il crescione (baby-leaf). I germogli si differenziano dalle altre due tipologie di semi germogliati per tre aspetti: vengono consumati integralmente, incluso il seme; non hanno bisogno di alcun substrato di crescita (solo di acqua o altro mezzo di coltura) e vengono raccolti prima dello sviluppo di foglie vere e proprie.
I germogli possono essere ottenuti dai semi di tutti i cereali, della maggior parte degli ortaggi e dei legumi.
I germogli mantengono intatto il contenuto nutritivo – massimo in tale fase – fino al momento del loro effettivo consumo e costituiscono un alimento fresco, privo di scarti poiché si utilizza per intero. Contengono proteine vegetali, vitamine, sali minerali e oligoelementi, clorofilla ed enzimi. Di seguito si riportano le proprietà salutistiche e gli effetti indesiderati.
I germogli rappresentano una preoccupazione in materia di sicurezza alimentare, in quanto le modalità di produzione li espongono a possibili e talvolta rilevanti contaminazioni di diversa natura, soprattutto di tipo microbiologica. I batteri patogeni possono essere trasportati e trasmessi da animali, esseri umani e ambiente, per successivamente contaminare i semi nel campo e tutta la catena di produzione dei semi germogliati.
I fattori di rischio più rilevanti sono associati alle pratiche agricole nella produzione, stoccaggio e distribuzione dei semi: acqua di irrigazione e/o letame contaminati, presenza di uccelli e roditori nelle strutture di stoccaggio, polvere e particelle del terreno costituiscono fonti potenziali di contaminazione. Le condizioni di lavorazione (ad esempio temperatura, umidità) prevalenti durante la germinazione e germogliazione dei semi contaminati favoriscono la crescita e la colonizzazione di agenti patogeni. Data l’ampia distribuzione nel mercato, i germogli sono inoltre potenzialmente in grado di provocare estesi focolai infettivi, coinvolgendo contemporaneamente numerose aree geografiche. Infine la pericolosità di tali alimenti è legata anche alle modalità di consumo, dal momento che si tratta di cibi ready-to-eat (pronti al consumo).
La germinazione dei semi rappresenta una produzione primaria nell’Unione Europea e le norme generali di riferimento in materia di sicurezza alimentare sono contenute in particolare nell’allegato I, parte A, del Regolamento (CE) n. 852/2004. Esso obbliga i produttori primari ad assicurarsi che i loro prodotti siano protetti da contaminazioni, ad esempio attuando misure volte a impedire la contaminazione derivante dall’aria, dal suolo, dall’acqua, dai fertilizzanti, dai prodotti fitosanitari e dai biocidi, nonché dallo stoccaggio, dalla gestione e dall’eliminazione dei rifiuti.
Requisiti più specifici per la produzione di germogli sono stabiliti da quattro regolamenti UE, emanati come risposta alla crisi associata al consumo di germogli di fieno greco scoppiata nel 2011 in Germania e al successivo «Scientific Opinion on the risk posed by Shiga toxin- producing Escherichia coli (STEC) and other pathogenic bacteria in seeds and sprouted seeds» dell’EFSA.
L’European Sprouted Seeds Association (ESSA) ha inoltre redatto delle linee guida europee, denominate “Orientamenti ESSA in materia di igiene per la produzione di germogli e semi per germogli”, al fine di fornire istruzioni esaurienti sui requisiti minimi e le prassi igieniche per la produzione sicura dei germogli e semi per i germogli.
Sono stati segnalati, nell’Unione Europea e in tutto il mondo, focolai infettivi di vaste dimensioni associati al consumo di germogli contaminati, generalmente causati da Salmonella spp. ed E. coli patogeni, che hanno portato a numerosi casi di malattie e decessi. Il più alto numero di focolai è stato segnalato negli Stati Uniti; tuttavia focolai si sono verificati anche in Canada, Germania, Svezia, Finlandia, Danimarca, Germania, Francia, Regno Unito, Giappone e Australia.
Il focolaio con più casi notificati (oltre 10.000) è stato registrato in Giappone nel 1996, attribuito al consumo di germogli di ravanello contaminati con E. coli O157:H7, seguito da quello provocato da E. coli O104: H4 in Germania nel 2011, in cui si sono registrati oltre 3.700 casi di malattia. Tra le manifestazioni più gravi associate al consumo di germogli rientra la Sindrome Emolitico Uremica, abbreviata in SEU o HUS (Hemolytic-Uremic Syndrome). È una sindrome caratterizzata dall’associazione di manifestazioni patologiche a carico del sangue e dei reni, con complicazioni neurologiche. Agente eziologico è E. coli enteroemorragico (EHEC) e si stima che fino al 10% dei pazienti affetti da EHEC possa sviluppare HUS, con un tasso di letalità fino al 5%.
Sebbene i germogli possiedano riconosciute proprietà salutistiche, ulteriori attività di ricerca sono necessarie al fine di approfondire e confrontare le caratteristiche nutrizionali di tali prodotti.
Nonostante siano stati compiuti diversi studi, ad oggi nessun metodo di disinfezione è in grado di assicurare la totale assenza di agenti patogeni sui semi destinati alla produzione di germogli. La Food and Drug Administration (FDA) raccomanda, per ridurre la concentrazione di patogeni, l’utilizzo di 20.000 ppm di ipoclorito di calcio per 15 minuti, trattamento che non riduce significativamente l’efficienza di germinazione o la lunghezza dei germogli ma che non si è rivelato sempre in grado di garantire una sostanziale riduzione dei patogeni. Gli operatori del settore che producono germogli a livello industriale devono pertanto mettere in atto misure di gestione della sicurezza alimentare all’interno di tutta la catena di produzione, che includono le buone pratiche agricole (GAP), le buone pratiche di fabbricazione (GMP) e le buone pratiche igieniche (GHP).
Articolo a cura di Maria Rita Di Cosmo
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