Geopolitica, gli effetti della guerra ibrida ad oggi

Geopolitica, cosa sta succedendo?

La politica mondiale, sia nel mondo reale, “fisico”, che in quello globale, oggi anche denominato “quinta dimensione” o “dimensione cyber”, stanno cambiando e sembrano prendere contemporaneamente due indirizzi che, fino a pochissimi anni fa, si credevano incompatibili.

Da una parte, si ritiene esserci un ritorno alle contrapposizioni tipiche dell’era Bipolare e di quello che Eric Hobsbawm chiamò con lungimiranza il “Secolo Breve”, ossia il Novecento. Secondo lo storico britannico, il ‘900 non coincideva con l’ordinaria scansione diacronica dei secoli, ossia con i cosiddetti Anni Zero all’inizio e Anni Novanta alla fine, ma iniziava con la Prima Guerra Mondiale, cioè nel 1914 e finiva con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica. Durante tutto questo periodo, anche prima dell’avvento dell’Era Bipolare vera e propria, le più  importanti contrapposizioni avvenivano tra Attori Statali organizzatisi in blocchi o grandi alleanze, cosa che, in un certo senso, sembra ritornare anche ai giorni nostri, soprattutto in relazione al conflitto russo-ucraino.

Tuttavia, nonostante il ritorno di alcuni dei vecchi topoi strategico-politici, sembra che il mondo si stia anche muovendo verso un sistema unit-veto, originariamente pensato come più vicino alle realtà multi- o a-polari, dove vale la regola del “tutti contro tutti”.

La coesistenza di due situazioni così agli antipodi sembra un nonsense, ma è invece uno scenario reale, come si può notare dalle molte controversie registrate ultimamente nei livelli di vertice dell’Unione Europea, non ultimo l’episodio che ha visto protagonista il Premier magiaro Orban.

Parte di questo fenomeno trae le sue origini dai nuovi tipi e strumenti di comunicazione utilizzati dai leader politici oltreché dai privati cittadini. Sulla scia (ma non solo) di ciò che sta accadendo nel conflitto tra Russia e Ucraina, sempre più leader politici, a tutti i livelli, cominciano ad usare più assiduamente i social media come canale semi-ufficiale di comunicazione tra i propri pari e con la società intera.

Questa comunicazione costituita da soundbytes e frasi telegrafiche ha un doppio effetto: da una parte porta a galla problematiche e/o discussioni che, altrimenti, resterebbero nella black box eastoniana dei processi decisionali dell’alta politica; d’altra parte, però, il messaggio arriva ai riceventi e, più in generale, al pubblico in maniera assai semplifica e talora privo di tante sfumature utili a capire più a fondo la situazione.
In questo modo, la geopolitica dello spazio fisico comincia ad assumere contorni fuzzy tipici del cyberspazio.

Se spostiamo l’attenzione, più nello specifico, su quanto sta accadendo nel conflitto russo-ucraino, vediamo che esso è l’esemplificazione di quanto detto sopra: tra le cause ritroviamo vecchie contrapposizioni tra blocco Occidentale e Orientale che sembravano sopite ai tempi dei primi (1991) e più recenti (2011) Accordi Start sul disarmo nucleare e sull’estensione a Est dell’Alleanza Atlantica, ma troviamo anche nuove materie di discussione in campo economico, con un occhio di riguardo alla tematica dell’approvvigionamento energetico.

Lo scenario si fa ancora più complesso se andiamo a vedere la tipologia di conflitto che si sta sviluppando, ossia una guerra ibrida costituita da azioni cinetiche di tipo tradizionale, ma costellata da risvolti nel mondo cyber.

Last but not least, bisogna ricordare che nei conflitti odierni, ancor più che in quelli del passato, l’intervento di particolari tipologie di attori, come ad esempio gruppi terroristici o cellule ad essi ispirate, può determinare ulteriori stravolgimenti del già complesso scenario descritto in precedenza.

Definizione di guerra ibrida, strategie e tattiche

Esistono svariate definizioni di “guerra ibrida”. Per semplicità, in questa sede, ritengo utile citare quello riportato nell’Enciclopedia Treccani, versione on-line open-source, che recita quanto segue:

“per guerra ibrida si intende quel tipo di strategia militare, caratterizzata da “grande flessibilità, che unisce la guerra convenzionale, la guerra irregolare e la guerra fatta di azioni di attacco e sabotaggio cibernetico (…)”.

Prima di parlare della guerra ibrida in quanto tale, però, dobbiamo ricordare alcuni concetti su cui spesso si fa confusione.

  • Il primo concetto su cui fare chiarezza è proprio quello di “guerra”. Senza addentrarsi eccessivamente in questioni tecniche, bisogna ricordare che, nel diritto internazionale, la guerra è quel particolare tipo di conflitto armato, alla base del quale si ravvisano motivazioni di Realpolitik, in cui almeno uno degli attori è statale. In questa sede, appare opportuno tralasciare le pur importanti discussioni a proposito di tipologia ed entità dei conflitti armati, legate al numero annuale di vittime e al loro carattere interno o internazionale cosa, quest’ultima, molto difficile da stabilire a partire dall’11 settembre 2001, data simbolica dell’avvento su scala globale del terrorismo transnazionale.
  • Altro concetto da chiarire è quello che riguarda la differenza tra strategia e tattica. Per gli studiosi di Relazioni Internazionali, Peace-keeping e materie affini, la strategia è collegata al fine ultimo della guerra, cioè alle ragioni di high politics/Realpolitik sottese alla guerra stessa; la tattica invece riguarda i fini nella guerra, cioè gli obiettivi di medio e breve periodo, i singoli passi da compiere.

Nei conflitti di natura ibrida, all’interno di una più complessa strategia globale, vengono inserite mosse tattiche che possono utilizzare lo strumento cyber nei modi più svariati. Servirebbero intere pubblicazioni scientifiche per descrivere tutte le possibili azioni. Tuttavia, a titolo esemplificativo, appare utile citare i seguenti esempi:

  • censura e disinformazione attraverso il blocco di alcuni media e l’immissione di informazioni controllate (e manipolate, finanche false) attraverso i canali di comunicazione lasciati aperti: esempio di questo sono stati il blocco dei social media durante le primavere arabe e, con modalità diverse, durante il conflitto russo-ucraino, nel quale si è anche visto l’utilizzo di quelle piattaforme rimaste attive come vera e propria “bandiera” di determinati attori (o soggetti ad essi affiliati) parte del conflitto;
  • denial of services: bloccare in tutto o in parte servizi importanti per la quotidianità, come ad esempio servizi di base (anche sanitari e finanziari) e infrastrutture critiche: anche in questo caso, il conflitto russo-ucraino ci fa riflettere, poiché in esso sono state usate anche tali tecniche, ma in maniera meno estesa e frequente rispetto a quanto si sarebbe potuto pensare in un primo momento;
  • atti dimostrativi di particolare impatto, come ad esempio l’attacco con il worm Stuxnet alle turbine di Natanz (Iran).

Le caratteristiche della guerra ibrida

Mi soffermerò a parlare di come la conflittualità sia cambiata con l’avvento di quella che Libicki ha chiamato cyber warfare e sulle caratteristiche di quest’ultima. Per semplicità, partirei dalle caratteristiche della guerra cibernetica, così come descritta da Libicki. L’autore, negli Anni 2010, all’indomani dell’attacco all’Estonia con DdoS (Distributed Denial of Services), partiva dal concetto di Information Warfare, definendone 7 aspetti così catalogati:

  • Command and Control Warfare (C2W), che mira ai vertici del sistema;
  • Intelligence Based Warfare (IBW);
  • Electronic Warfare (EW);
  • Psychological Warfare (PSYOP);
  • Hacker Warfare (HW);
  • Economic Information Warfare (EIW);
  • Cyber Warfare, come la chiamiamo oggi, che è una sorta di summa, di concentrato di tutte le forme precedentemente descritte.

L’attacco del 2007 all’Estonia è stato un evento storicamente rilevante, perché, per la prima volta, uno Stato chiese alla NATO l’attivazione dell’art. 5 del patto Atlantico (mutual defense) per un attacco cibernetico. Tale attivazione fu negata perché, nonostante gli indizi e i ragionevoli dubbi del tempo, non fu possibile stabilire il mandante (statuale) dell’attacco, anche per la natura immateriale dell’attacco stesso, non seguito da azioni cinetiche nello spazio fisico. Tuttavia, questo attacco, così come tutti gli episodi legati invece ad un contesto ibrido, ci fanno capire che la gestione del conflitto sta cambiando ed ha avuto anche un grosso impatto su una delle teorie più innovative nel contesto della cosiddetta RMA (revolution of Military Affairs) avviata con il primo intervento in Iraq, nel 1991. Nel quadro di tale intervento, i Generali statunitensi Boyd e Warden elaborarono una riflessione detta “teoria dei 5 cerchi”, secondo la quale, per arrivare al cosiddetto bull’s eye, l’occhio del toro, cioè il vertice politico avversario, bisognava attraversare e neutralizzare altri quattro cerchi: le forze sul campo, la popolazione, le infrastrutture critiche, gli approvvigionamenti essenziali.

Al tempo, i cinque cerchi apparivano abbastanza distinti e l’escalation del conflitto poteva seguire percorsi, almeno in parte, più lineari. Oggi, così come già detto in precedenza, lo scenario diventa fuzzy e il cerchio delle infrastrutture critiche tende ad inglobare tutti gli altri cerchi, soprattutto in considerazione del fatto che, tra le infrastrutture critiche non si annoverano solo quelle deputate alla salvaguardia della salute pubblica, quelle finanziarie e quelle energetiche, ma anche tutto ciò che concerne le telecomunicazioni.

 

Articolo a cura di Serena Lisi

Profilo Autore

Serena Lisi si è laureata in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell'Università degli Studi di Firenze con una tesi sulla crittografia.
Attualmente, si occupa del rapporto tra decision-making e tecnologia.
È redattrice del sito del CSSI.
È docente a contratto al Laboratorio di Analisi e Pianificazione delle Operazioni di Pace del corso di laurea triennale interfacoltà SECI-OP.

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