Fra i diversi riflessi drammatici del COVID-19 vi è certamente la sua incidenza sulla salute e sulla vita dei lavoratori che lavorano in strutture sanitarie o centri per la salute.
L’emergenza sanitaria correlata alla diffusione del virus ha impresso nelle aziende – e per tutti i lavoratori – un cambiamento rapido della propria cultura organizzativa, con l’introduzione di condizioni nuove e vincolanti a tutela della salute e della sicurezza.
Ogni tipo di cambiamento comporta una dose di ansia, intrinseca alla rottura momentanea dell’equilibrio esistente. Spesso si tende a procrastinare proprio per paura di abbandonare le rassicuranti situazioni che conosciamo, i contesti prevedibili e le azioni abitudinarie di lavoro.
Sentirsi stressati è un’esperienza che probabilmente stanno vivendo molte persone; è normale sentirsi così nella situazione attuale. Il settore sanitario è caratterizzato dalla presenza di fattori di rischio psicosociale strettamente legati all’organizzazione lavorativa, alla sicurezza e alla salute degli operatori: dalla necessità di essere sempre lucidi e operativi, al confronto quotidiano con situazioni di estrema sofferenza umana.
In questo particolare momento di pandemia, per la gestione dell’ansia, è importante: selezionare le fonti da cui prendiamo le informazioni, che andrebbero consultate non più di due volte al giorno; proteggere il nostro spazio personale, il privato e i momenti di solitudine, anche se viviamo con altre persone o con la nostra famiglia; riempire il tempo libero con attività in grado di assorbire la nostra attenzione e, quindi, di distrarci per buona parte del tempo; mantenere un dialogo interiore onesto e sincero con noi stessi al fine di distinguere e riconoscere le nostre emozioni e reazioni; capire se preferiamo momenti di condivisione e compagnia, anche online, o se piuttosto stiamo meglio da soli.
Accettare e comprendere che il cambiamento, in questo momento, è necessario anche se deprivante, destabilizzante e ansiogeno.
Oggi più che mai non possiamo sapere se finita l’emergenza torneremo esattamente come prima, sia a livello personale che rispetto alle abitudini e ai comportamenti sul lavoro.
In questi contesti a massiccia domanda assistenziale, l’impegno professionale degli operatori direttamente coinvolti nell’emergenza è tale da non lasciare spazio all’elaborazione di una risposta psicologica o alla formulazione di una richiesta d’aiuto.
Per questo è fondamentale che il datore di lavoro faciliti questo processo, ad esempio attraverso azioni utili ad alleviare lo stato psicologico dell’operatore.
Il documento pubblicato dall’ISS, dal titolo “Indicazioni per la gestione dello stress lavoro–correlato negli operatori sanitari nel contesto COVID” ha messo in luce numerosi fattori stressanti secondari alla pandemia da COVID–19, fra cui:
A rendere ancor più complessa la gestione della situazione è stato il fatto di aver dovuto cooptare operatori provenienti da altre unità operative, che si sono trovati ad agire in ambiti clinici molto diversi dai propri.
La letteratura scientifica dedicata allo stress lavoro-correlato ha ampiamente confermato come il settore sanitario sia di per sé caratterizzato dalla presenza di fattori di rischio psicosociale strettamente legati all’organizzazione lavorativa, alla sicurezza e alla salute degli operatori: turni, reperibilità, gestione di emergenze/urgenze, croniche carenza di personale; potenziale rischio di episodi di aggressione verbale e/o fisica.
Fattori che in questo momento di emergenza sono grandemente amplificati, a partire da quelli relativi alla sicurezza degli operatori, cioè alle misure di prevenzione e protezione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricorda che il primo passo per tutelare la salute del personale sanitario durante un’epidemia è l’attuazione di tutte le misure necessarie a proteggerne la sicurezza occupazionale.
Il datore di lavoro e i dirigenti delle strutture sanitarie devono garantire l’adozione delle misure preventive e protettive necessarie rendendo disponibili forniture adeguate dei dispositivi di protezione individuale in quantità sufficiente per gli operatori sanitari o altro personale che si occupi di pazienti sospetti o confermati, consultando gli operatori sanitari sugli aspetti della sicurezza e della salute sul lavoro nella propria attività quotidiana.
Va inoltre considerato che nel corso di un’epidemia, anche quando le misure preventive e protettive siano adeguate, il personale sanitario resta esposto a un alto livello di stress psicologico, oltre che fisico: timore di contrarre l’infezione e di trasmetterla ai propri familiari, elevata mortalità, sofferenza per la perdita di pazienti e colleghi, separazione spesso prolungata dalla famiglia, cambiamenti nelle pratiche e procedure di lavoro, necessità di fornire un maggiore supporto emotivo ai pazienti in isolamento, fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione.
La paura e la preoccupazione di contagio per sé e per i propri familiari – ancor più in presenza di figli piccoli o genitori anziani – possono condurre l’operatore sanitario a un vero e proprio auto-isolamento. Il carico di lavoro aumentato riduce anche il confronto con i colleghi; e il rapporto con i pazienti cambia radicalmente.
È frequente che emergano emozioni di rabbia, ostilità, frustrazione, senso di impotenza e che si manifestino sintomi depressivi e stati d’ansia con somatizzazioni, insonnia, aumento del consumo di caffeina e tabacco.
Studi sui rischi psicosociali dello stress tra il personale sanitario durante le epidemie di SARS ed Ebola, durante la pandemia influenzale A/H1N1 e durante la gestione dell’epidemia COVID-19 in Cina, hanno rilevato la comparsa di sintomi associabili allo stress post-traumatico.
Uno studio trasversale condotto in Cina su 1257 operatori sanitari impegnati nei presidi coinvolti nella gestione di pazienti con COVID-19, ha valutato la presenza di sintomi depressivi e ansiosi evidenziando che le donne, il personale infermieristico e coloro che lavorano nelle zone con maggiore concentrazione di casi (che sono più direttamente coinvolti nell’emergenza) hanno dei sintomi più intensi e possono pertanto necessitare di supporto o di interventi psicologici.
Il 6 marzo 2020 l’OMS ha diffuso un documento contenente alcune raccomandazioni per favorire la gestione dello stress associato all’emergenza sanitaria globale da COVID-19, che contiene alcuni messaggi rivolti agli operatori sanitari.
Riporto, di seguito, alcune utili indicazioni pratiche tratte dall’analisi della letteratura sulla prevenzione dello stress emotivo degli operatori sanitari legato alla situazione di emergenza da COVID-19.
In contesti a massiccia domanda assistenziale è fondamentale che il datore di lavoro faciliti questo processo. Numerose aziende sanitarie hanno già fatto passi concreti in questa direzione rendendo disponibile un servizio di supporto psicologico telefonico o via skype, o attivando veri e propri consultori specialistici di salute mentale dedicati al sostegno dei professionisti sanitari coinvolti nell’emergenza (AUSL Romagna, Azienda Sanitaria di Trento, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, ASLTO3, ASL di Viterbo, ASL Umbria 2 per citarne solo alcune) e promuovendo la comunicazione tra operatori sanitari e cittadini tramite il web.
Gli operatori sanitari coinvolti nella gestione dell’emergenza Covid19, impegnati sia in setting clinici che di comunità, sono i pilastri su cui si fonda la risposta all’epidemia da SARS-CoV-2. È quindi fondamentale investire quanto più possibile per proteggerne la salute fisica e mentale. Implementare le risorse di supporto psicologico per sostenere gli operatori che quotidianamente si confrontano con l’emergenza, garantendole anche nel periodo successivo all’emergenza pandemica, può inoltre contribuire a potenziare le abilità di adattamento e a promuovere l’empowerment personale.
Articolo a cura di Bartolomeo Dragano
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