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Come stati emergenziali o di crisi amplificano le vulnerabilità: il furto di D.P.I. nelle realtà ospedaliere ai tempi del Covid-19

La percezione del rischio e la realistica valutazione quantitativa dell’esposizione ad esso possono variare all’interno di un contesto sociale, pur trovandoci nella medesima dimensione storica e geografica; le motivazioni di tale distorta percezione possono avere diversa natura, sia essa storica, sociale, ideologica, politica o addirittura religiosa e spesso conducono inconsapevolmente gli attori – siano essi persone fisiche, aziende o addirittura Enti pubblici – a rappresentare dei cosiddetti soft-targets a beneficio di organizzazioni di matrice sia criminale che terroristica.

In particolare, il comparto ospedaliero e i laboratori presenti negli Atenei rappresentano dei soft-targets assoluti, nell’accezione di un canale a doppio flusso funzionale a manifestare all’interno una minaccia e attivo per veicolare all’esterno dati, conoscenze, materiali e sostanze di varie tipologie.

Da una disamina purtroppo estremamente semplice è possibile notare quanto il personale e le strutture facenti parte di questi contesti siano estremamente vulnerabili, qualora assunti quali obiettivi di una minaccia fisica proveniente dall’esterno: la totale assenza di controlli di sicurezza, con riferimento ad esempio alle realtà ospedaliera e universitaria, non ostacolerebbe minimamente eventuali azioni violente nei loro confronti oppure atti criminosi in genere quali, ad esempio, i furti.

Lo stato, inizialmente emergenziale e ora di vera e propria crisi, vissuto in questi giorni dalle realtà ospedaliere presenti sul nostro territorio, ha, come ampiamente prevedibile, amplificato tale status con un conseguente incremento delle vulnerabilità tutte; in particolare quelle correlate al compimento di furti di D.P.I. (Dispositivi di Protezione Individuale), merce a dir poco rara e ricercata in periodi nei quali imperversano criticità legate alla pandemia tuttora in atto.

È accaduto a Parma, tra le prime province ad essere identificate come zona rossa prima che la misura si estendesse a tutto il territorio nazionale, dove la Guardia di Finanza ha individuato una sala slot che aveva abusivamente messo in vendita prodotti disinfettanti e strumenti di protezione di naso e bocca solitamente utilizzati in ospedale.

Secondo quanto riportato dal quotidiano locale, la Gazzetta di Parma, il titolare dell’esercizio è stato segnalato alla Procura della Repubblica per il reato di ricettazione, in quanto è stato accertato come i dispositivi medico-sanitari provenissero dalla locale Ausl, sottratti all’Azienda da un operatore sanitario quarantenne residente nella città emiliana; in base a quanto ricostruito dal quotidiano, ogni mascherina era rivenduta a circa 70 € sfruttando, in modo speculativo, l’aumento della domanda dell’ultimo periodo nel quale sono cresciuti a dismisura i contagi da Covid-19.

Un altro operatore sanitario, cinquantottenne e residente nel parmense, sarebbe stato trovato in possesso di ulteriore merce sottratta all’Azienda ospedaliera cittadina; a carico di entrambi i dipendenti pubblici è stato ipotizzato, dall’Autorità giudiziaria, il reato di peculato.

I prodotti, in tutto alcune centinaia di pezzi tra mascherine chirurgiche, guanti in lattice e prodotti igienizzanti, i quali al momento risultano indispensabili e di particolare utilità pubblica per il contenimento del coronavirus nella zona e di difficile reperimento, sono stati sottoposti a sequestro in vista della successiva restituzione alla locale Azienda ospedaliera.

Analogamente, qualche giorno fa, le Fiamme gialle di Torino hanno denunciato ben venti persone nel corso di un’operazione che ha coinvolto tutto il Paese: approfittando della situazione critica causata dall’epidemia, alcuni commercianti avrebbero infatti trovato il modo di vendere centinaia di dispositivi di protezione individuale a prezzi a dir poco esorbitanti, quindi ampiamente maggiorati rispetto al valore di mercato.

Un altro inquietante episodio è avvenuto, ad esempio, il 16 marzo all’ospedale di Carbonia, ove è stato commesso il furto di una quantità notevole di mascherine destinate al presidio ospedaliero per le attività di prevenzione nell’ambito del contrasto al contagio; ad accorgersi dell’ammanco (stimato in una quantità superiore al migliaio) è stato un addetto che ha notato un deterioramento nella pellicola di cellophane che avvolgeva il carico, dopo che la ditta produttrice ha confermato come alla partenza il collo fosse perfettamente integro.

L’ipotesi è che le mascherine possano finire illegalmente in vendita on-line, parimenti a quanto si pensa sia successo in seguito ad un episodio di sciacallaggio avvenuto all’ospedale di Imperia, ove sconosciuti hanno sottratto un intero stock di mascherine protettive dalle sale operatorie.

L’Azienda locale ha presentato una denuncia di furto facendo immediatamente scattare l’indagine dei Carabinieri, i quali hanno compiuto un sopralluogo sentendo gli addetti e raccogliendo testimonianze che potrebbero essere utili; non è escluso, come già capitato in precedenza, che le mascherine siano finite in un commercio clandestino, con terminale su Internet, dove vengono battute all’asta.

Le mascherine, nei primi giorni dell’emergenza, sono andate letteralmente a ruba, e a prezzi talmente elevati che il Ministero ha dovuto chiedere alla Guardia di Finanza di compiere verifiche sui siti di vendite on-line; episodi analoghi sono infatti accaduti con una frequenza preoccupante in tutta la Penisola: dal primo, all’ospedale Le Molinette di Torino, ai furti multipli avvenuti presso il Pronto soccorso di Arezzo.

Questa tipologia di dispositivi di protezione individuale, di vitale importanza nella prevenzione e nel contrasto del contagio a mezzo di agenti patogeni altamente infettivi, viene comunemente impiegata in svariati settori, da quello sanitario a quello industriale, sia all’interno dei cantieri edili nonché nella quasi totalità dei siti produttivi: le mascherine si dividono in D.P.I., ovvero Dispositivi di Protezione Individuale, e in D.M. ovvero Dispositivi Medici (denominate anche col termine di mascherine medicali).

I D.P.I. in commercio, di qualunque tipo o categoria, devono chiaramente presentare la marcatura CE, ove il campo della protezione delle vie respiratorie da rischio biologico è regolato dalla Norma europea UNI EN 149, la quale classifica i dispositivi in Semimaschera Filtrante (FF) FFP1, FFP2 e FFP3; in particolare, le mascherine consigliate per chi si deve proteggere dal virus Covid-19 sono di classe FFP2 o FFP3, e hanno un’efficienza filtrante del 92% e 98% (le FFP1, spesso chiamate in modo impreciso col termine anti-polvere, hanno invece un’efficienza filtrante del 78%,  insufficiente in questo caso a proteggere dal virus).

FFP2 e FFP3 sono indicate per medici e sanitari che lavorano a stretto contatto con i malati e per i familiari che li assistono; sono per così dire “sprecate” se utilizzate dalle persone infette e, soprattutto, sono realmente efficaci solo se indossate con una ben precisa procedura che viene insegnata: inoltre, non sono consigliate a bambini o persone con barba e/od occhiali, a causa dell’impossibilità di una perfetta aderenza al viso.

Analoghe sono le maschere in elastomeri o tecnopolimeri dotate di filtro sostituibile P2 o P3, le quali hanno l’indubbio vantaggio di una migliore tenuta sul viso a discapito, però, del peso maggiore; la assai diffuse mascherine medicali, cosiddette chirurgiche, evitano invece che il portatore diffonda il virus all’esterno, ma non proteggono adeguatamente dal contagio di provenienza altrui, soprattutto per la scarsa aderenza al volto.

Esse sono quindi indicate per i malati e i soggetti immunodepressi, ovvero i maggiormente esposti alle infezioni; su tutte le tipologie di mascherine descritte in precedenza si possono trovare i cosiddetti filtri, che in realtà altro non sono che valvole utili a una più confortevole respirazione e a una riduzione del riscaldamento dovuto al calore del fiato.

Attenzione però poiché le valvole, proteggendo in entrata, rendono i dispositivi non adatti ai malati i quali buttano fuori il virus espirando; inoltre, è bene ricordare che i dispositivi non servono alle persone sane, le quali li calzano nel timore di incontrare per strada persone positive: in questo caso è sufficiente coprirsi il volto con una sciarpa, ma soprattutto lavarsi frequentemente le mani, non toccarsi il viso e mantenere una distanza interpersonale di almeno un metro.

Recentemente una start-up europea ha lanciato una rivoluzionaria mascherina di protezione respiratoria chiamata OxyBreathPro®, ove ogni boccata d’aria che si respira passa attraverso un filtro multistrato che blocca virus potenzialmente letali o sostanze chimiche pericolose; sembra si tratti di una mascherina di ultima generazione a suo modo rivoluzionaria e progettata per i virus più infettivi dei giorni nostri la quale, grazie al filtro a carbone attivo del quale è dotata, garantirebbe un’efficienza filtrante del 99,9% di virus, batteri, inquinamento, polvere, sostanze chimiche, particelle, polline, nonché fumo.

 

Articolo a cura di Stefano Scaini e Samuele Papiro

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Stefano Scaini e Samuele Papiro

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