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Città sicure digitali & telecamere di sorveglianza

La valutazione obbligatoria di impatto sulla tutela dei dati personali

La videosorveglianza cittadina è un tema in forte espansione ed è una prerogativa necessariamente gestita dai comuni che ai sensi dell’art. 6 del dl 11/2009 possono utilizzare gli impianti per la tutela della sicurezza urbana riprendendo le strade e le piazze. La riforma sovranazionale sulla tutela dei dati personali entrata in vigore definitivamente nel 2018 ha rinnovato tutte le regole stabilendo in buona sostanza che spetta al titolare del trattamento (il comune) assumersi ogni responsabilità ed essere in grado di rendicontare le proprie scelte. Gli impianti di videosorveglianza pubblica servono però generalmente anche ad una finalità di sicurezza in senso stretto. Dopo la firma di appositi patti in prefettura infatti i sindaci possono mettere a disposizione anche di Polizia di Stato e Carabinieri gli impianti di telecontrollo. Ecco allora che entra in gioco oltre al GDPR la poco conosciuta direttiva Ue 2016/680 che è stata attuata in Italia con il dlgs 51/2018. Questo provvedimento, specificamente dedicato alla tutela dei dati personali per i soggetti che svolgono indagini, compresa la polizia locale, deroga abbondantemente ad alcuni principi fondamentali del regolamento europeo sulla protezione dei dati. Oltre ad una necessaria conservazione allungata dei dati raccolti (anche alla luce del dl 139/2021) infatti, risultano decisamente affievoliti anche i diritti degli interessati che per esempio non potranno certo proporre l’opposizione al trattamento prevista ordinariamente dall’art. 21 del Gdpr. Senza un regolamento comunale che dia spazio alla direttiva Ue 2016/680 il rischio per i comuni è per esempio di non riuscire a gestire le richieste di esercizio dei diritti dell’interessato ai sensi degli artt. 12 e seguenti del Gdpr. Oppure di non poter attivare i collegamenti con polizia e carabinieri. Attenzione poi alla necessaria valutazione preventiva di impatto privacy. Un altro istituto poco conosciuto regolato sia dal Gdpr che dal dlgs 51/2018. Ogni moderno impianto di videosorveglianza urbana deve essere analizzato da un tecnico e un legale in modo da verificare preventivamente, dal punto di vista del cittadino, quali sono i rischi che emergono. Ovvero se il rischio che quelle immagini finiscano nel posto sbagliato è accettabile o meno. Senza questo certificato ogni impianto di videosorveglianza è potenzialmente a rischio di sanzione. 

Quindi ricapitolando per un comune che vuole attivare un nuovo sistema di videosorveglianza è necessario:

  1. un regolamento aggiornato sulla vds che regoli nel dettaglio tutti gli aspetti organizzativi (nomine, informative, disciplinari);
  2. un patto per la sicurezza per aprire alla corretta collaborazione interforze;
  3. una obbligatoria valutazione di impatto privacy (dpia) che attesti il basso rischio dell’impianto;

Per effettuare questo tipo di regolamentazione è molto importante la collaborazione del responsabile della protezione dei dati con il titolare del trattamento (il comune ovvero il comandante della polizia locale) che non può mai sostituirsi ad eventuali consulenti esterni specializzati. Il dpo infatti dovrà validare la valutazione di impatto privacy (dpia), il regolamento e le altre attività amministrative conseguenti ma non potrà redigerle personalmente (per evidenti incompatibilità di ruolo tra controllore e controllato).

Articolo a cura di Stefano Manzelli

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Stefano Manzelli

Responsabile della protezione dei dati e consulente in materia di sicurezza urbana integrata e referente del sito sicurezzaurbanaintegrata.it

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